Marco Bortolotti, testa e cuore da Top Player: “Il mio tennis è migliorato. Ho un gioco più aggressivo e sfrutto la mia velocità. Sono ancora concentrato sul singolare e miro al best ranking.”

Ho visto nel 2015 e nel 2016, i suoi migliori anni, Marco Bortolotti in tantissime occasioni. E il tennista emiliano mi ha sempre emozionato per il suo accanimento, e il suo gioco molto grintoso. In quel periodo non l’ho mai intervistato. Forse perché il suo allenatore di allora, bravissimo e molto passionale, Tommaso Moretto, aveva questa carica che mi spaventava e avevo paura di avvicinarlo. Potrebbe sembrare paradossale, ma a quei tempi io ero una new entry nel panorama tennistico, non mi conoscevano in tanti e il buon senso mi suggeriva di non rompere troppo le scatole. Moretto mi incuriosiva tantissimo e più di una volta mi sono avvicinato, cercando di non destare il suo interesse, per capire cosa scrivesse nel suo proverbiale taccuino. La risposta l’ho trovata oggi, e pagherei una buona cifra per averne qualche scampolo. L’intervista che ascolterete, di Luca Fiorino, mi ha scatenato altre curiosità e Marco Bortolotti è stato di una gentilezza unica e ha risposto alle mie domande che troverete alla fine. Risposte che denotano tanta maturità e capacità di andare in fondo alle cose. Un Bortolotti tanto cervello, che fa da contraltare a quello più fisico che emerge dalle sue partite ad uno sguardo superficiale.

Intervista a Marco Bortolotti, 29 anni, numero 534 ATP (best ranking 355 nel 2016) di Luca Fiorino in video/audio

Giorni di duri allenamenti di Marco Bortolotti alla ricerca di stimoli.

“Andrò in Overtraining (e ride NDR). Faccio un’oretta di Yoga la mattina e poi il pomeriggio qualche esercizio atletico. Faccio forza, poca corsa perché sono a casa dei miei genitori, a circa 100 chilometri da casa mia. La priorità è star bene fisicamente. Io se non faccio nulla sto a pezzi. Mentalmente cerco di fissare la data di rientro, quella che ci viene detta, in modo da visualizzare la ripresa.”

L’idea di Marco Bortolotti della proposta di Djokovic per aiutare i tennisti più indietro in classifica.

I soldi all’ATP e all’ITF non mancano. Apprezzo le parole di Nole e di Rafa che sono sempre propositivi: cercano sempre di dare una mano. In qualche modo anche lo scorso anno si erano espressi contro quelle riforme dei punti ATP e delle classifiche che rendevano tutto più difficile e infatti l’ITF ha fatto dei passi indietro su quella regola. Dirk Hordorff ha detto che danno 10mila dollari ad ogni giocatore tra i 250 e i 750 del mondo e di solito Dirk non parla a vanvera. Qualsiasi cosa arriva ben venga, anche mille euro, poi se sono diecimila meglio.”

Marco Bortolotti in giro per il mondo da una vita: il titolo vinto in Georgia fra mille peripezie.

Il primo Futures vinto fu particolare. Ero in tournèe 4 settimane in Georgia. Sono arrivato al circolo alle 4 di notte con Francesco Garzelli, a Pantiani un sobborgo tra Tbilisi e Telavi. Il giorno dopo ci svegliamo e cerchiamo di vedere cosa c’era in giro, un supermercato, qualcosa, ma non abbiamo trovato nulla! Una mucca, un pastore, un luogo desolante. Dovevamo dormire là ma era una favela, non un resort. Abbiamo trovato un’altra sistemazione a circa un quarto d’ora. L’ultimo torneo della serie, arrivo in finale ed eravamo rimasti solo io e Caio Silva, l’altro finalista. C’era stata una tempesta di 4 ore, considera che noi stavamo poco sotto i 1400 metri, era montagna e c’erano state delle frane per cui non si riusciva ad arrivare al circolo. Il direttore del torneo e il giudice arbitro dormivano a Tblilisi per cui abbiamo convenuto di giocare lì. C’era stata però una alluvione a Tbilisi e le gabbie dello zoo si erano aperte e c’erano gli animali in giro per la città. Ho vinto il match e il mio primo titolo: così siamo andati a prendere un taxi col rischio di incontrare leoni, tigri e animali vari. C’era la protezione civile in giro con elicotteri e col megafono parlavano alla popolazione ma non capivamo niente. Il torneo non era di altissimo livello, i pochi avevamo tenuto botta per tutti e 4 i tornei, e io non persi nemmeno un set. Invece nelle settimane prima c’era un bel livello, avevo battuto anche Thiago Monteiro, Metreveli.”

La sconfitta contro Monteiro ai quarti Challenger nella bolgia di San Paolo.

C’era una bolgia incredibile e mi sono un po’ perso nel terzo set anche a causa della torcida brasileira: nel terzo game del terzo set ho fatto due doppi falli. I tifosi esultavano per ogni mio errore e nel doppio fallo si alzavano e festeggiavano: io sono caduto nel tranello, mi sono innervosito e ho risposto alle loro provocazioni. Il che mi ha procurato altri problemi, altri fischi, e alla fine ho perso. In realtà il torneo è stato molto positivo, ero andato lì per un torneo secco, stavo perdendo nel primo turno col cileno Saez, e il pensiero era andato proprio a quella scelta di fare un viaggio così lungo e impegnativo per un torneo solo. Sono riuscito a girare quella partita lì’ nel primo turno, poi ho giocato una delle mie migliori partite con Estevez prima di quel quarto di finale con Monteiro.”

Le migliori partite della carriera di Marco Bortolotti.

Ne ricordo una con Fabbiano a Perugia che lui era nei primi 100, ma anche al Foro sempre con Fabbiano, col quale mi trovo bene almeno sulla terra.”

Il secondo titolo Futures vinto in Austria senza perdere un set.

Anche lì ho giocato un gran torneo. Venivo da due tornei negativi, avevo perso a Parma con Picco e a Padova con Crepaldi. Mi allenavo con Tommaso Moretto che è un tipo passionale che si arrabbiò parecchio per come avevo giocato. La settimana dopo vado in Austria e vinco il torneo, vuol dire che la strigliata è servita. Al primo turno avevo battuto l’austriaco Ofner e giocai molto bene.”

 Primo match d’esordio a livello pro di Marco Bortolotti.

Challenger a Reggio Emilia contro Ormazabal? Ah no, contro Podlipnik-Castillo nel 2007 (su imbeccata di Luca Fiorino NDR), era sempre cileno. Il circolo di Reggio Emilia ha sempre avuto un occhio di riguardo per me e mi diede la Wild Card, avevo 16 anni.”

Il sussulto di Marco Bortolotti lo scorso anno a Vicenza, un aneddoto e gli scongiuri di Marcora.

Sì, terzo turno raggiunto e un ottimo gioco mostrato. La prima partita con Zeppieri ho giocato benissimo, e poi anche con Marcora che quando mi vede si fa male: era successo a Parma ed è successo anche a Vicenza, dove si è ritirato nel secondo set. Poi con Bagnis me la sono mangiata. Ero avanti 4-2 nel primo set e l’ho perso al tie break. Ho dominato il secondo set e nel terzo ero avanti di un break: ho avuto un piccolo calo e lui ha alzato il livello. A Vicenza poi sono entrato in tabellone per il rotto della cuffia. Si ritira Mansouri e con le nuove regole scalava il giocatore con il ranking ITF, perché il tunisino era dentro col ranking ITF, per cui andavo direttamente in tabellone principale e non in quali. Ma il direttore del torneo si era sbagliato, gliel’ho dovuto far notare io.”

Un parere di Marco Bortolotti sui Next Gen italiani attuali.

C’è un gran livello. Sono tutti giocatori, sono molto avanti nella crescita. Una volta è vero che c’erano anche meno giocatori forti, ma c’erano anche meno chance di dimostrarlo e crescere. Oggi abbiamo tanti Challenger con relative Wild Card. Tutto il movimento si è evoluto a partite da parecchi allenatori validi, la Federazione adesso aiuta anche a 20/22 anni e non più solo a 16.”

I giovani di una volta: le potenzialità di Trevisan.

Se gli Speronello o i Trevisan fossero arrivati dopo, nella situazione attuale intendo, avrebbero avuto molte più possibilità. Matteo Trevisan aveva un talento pazzesco, era completo, esplosivo come Fognini; di diritto spaccava la palla. A 19 anni era 280 ATP.”

Un nome da annotare per Marco Bortolotti: Jiri Lehecka, classe 2001.

Mi ha impressionato Jiri Lehecka. Ci ho giocato a Jablonec, in Repubblica Ceca e mi ha fatto una notevole impressione. Ero partito dalle quali. In realtà dopo Roma io avevo deciso di giocare il doppio, quindi sono andato a Vercelli, al 25mila, per fare solo il doppio che stavo giocando con questo ragazzo australiano, Scott Podziunas: volevamo fare l’ultimo 25mila +H per poter poi entrare nei Challenger. Dio vuole che in singolare faccio qualificato e poi semifinale, vado a Vicenza e faccio terzo turno. Ero lì lì come classifica per giocare nei tabelloni in singolare dei Challenger, per cui ho parlato con Scott e gli ho detto che volevo tentare ancora in singolare. Di Lehecka che ha 18 anni mi ha impressionato quanto gli usciva la palla e una seconda di servizio eccezionale. Non mi lasciava giocare. Poi ad un certo punto ho avuto delle chance nel secondo set, probabilmente se le sfruttavo la partita poteva cambiare. Potenziale da primi 50 per Lehecka.

 Marco Bortolotti allegriano doc: l’undici titolare della Juventus degli ultimi 30 anni.

L’amore per la Juve nasce da mio padre. Ricordo mio papà che guardava la finale di Champions contro il Borussia Dortmund che perdemmo 3-1. Ricordo anche che restai a casa invece che andare all’asilo per vedere la finale di intercontinentale con il River Plate a Yokohama. Avevo 6 anni. Il mio undici ideale degli ultimi anni è un 4-4-2: Buffon; Zambrotta, Cannavaro, Chiellini, Thuram; Nedved, Marchisio, Pirlo; Ronaldo, Del Piero, Trezeguet. Fa male non mettere Zidane, ma pensa a Vidal, davids, Emerson, Pogba, Mandzukic, Vieira. Allenatore Allegri, che ha fatto un paio di magie: la prima mettendo Emre Can in difesa con l’Atletico Madrid, e poi col Tottenham quando ha tolto Mautidi e Bonucci cambiando modulo con Lichtsteiner e Asamoah. Con il tempo sto diventando meno tifoso e più amante del calcio.”

Dopo aver ottenuto il best ranking cosa non ha funzionato?

Se non sono più su in classifica vuole dire che non ci ho creduto abbastanza, anche se il mio tennis è migliorato molto intanto. Rispetto a quando ho fatto il best ranking, cioè il 2016, in altre parole gioco meglio. Mi sento migliore sotto tutti gli aspetti, maturato come tennista. I rimpianti sono i match point che ho avuto quell’anno lì: credo 5 o 6 match li ho persi con match point a disposizione. Alcuni anche in quali ATP, due match point anche con Matteo Berrettini a Reggio Emilia. Magari avrei chiuso a ridosso dei 300 ATP.”

Marco Bortolotti si vede coach un domani.

“Assolutamente sì. E’ presto per fare programmi. Stimo molto due amici miei che sono andato in Accademia in Svezia da Norman e hanno imparato tanto: uno è Gianluca Marchiori che ha seguito Ymer e Brands. L’altro è Andre Rizzoli. Con loro giocavamo insieme a Carpi.”

 Gli allenatori avuti in passato da Marco Bortolotti.

Son cresciuto fino a 14 anni con Andrea Artioli, che è quello che mi ha trasmesso la passione per il tennis e mi ha insegnato a giocare. Poi lui non voleva seguire un tennista PRO ma restare al circolo e mi consigliò di andare a Tirrenia dove avrei potuto giocare con tennisti anche più forti di me ed essere seguito in un certo modo. Lì Renzo Furlan fu una figura importante per la mia crescita, ma quello che mi aveva seguito fin da subito era Giancarlo Palumbo (qui un focus sul tecnico oggi responsabile Organizzativo a Tirrenia) con il quale ho ottenuto i migliori risultati e c’era un gran feeling tra noi. Poi a 18 anni sono andato all’Accademia di Bruguera, dove la caratteristica è che tutti i Coach che ci sono seguono lo stesso indirizzo, lo stesso metodo creato da Luis Bruguera. E questo è un grande vantaggio perché la direzione è la stessa per tutti: è ciò che caratterizza positivamente quel modello di Accademia. Che mi allenassi con Fernando Luna o con la Muguruza e il suo coach, tutti parlano la stessa lingua tennistica, lo stesso modello di allenamento. In Spagna le Accademie funzionano anche per questo.”

giancarlo palumboGiancarlo Palumbo

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Il ricordo e la stima per Marco Bortolotti nelle parole di Giancarlo Palumbo, oggi Responsabile organizzativo del Centro Tecnico di Tirrenia e del settore Under 18.

Marco Bortolotti lo ricordo sempre con un grande affetto, un grandissimo ragazzo che sta diventando un’ottima persona e grande Uomo. Mi ricordo quando era piccolino, e giocava a minitennis a 8 o 9 anni: io ero il direttore tecnico dell’Emila Romagna e lui cominciava a fare i tornei Under 10. Noi avevamo una attività molto sostenuta in regione, e monitoravamo i ragazzi più interessanti. E lui lo era, ti guardava sempre con quegli occhioni molto attenti e con un gran desiderio di diventare un giocatore di tennis. E’ stato anche in Nazionale Under14, e anche allora gettava il cuore oltre l’ostacolo. Pur con dei limiti, come per ogni atleta o persona, che ha sempre cercato di superare con la volontà. Questo gli valse la convocazione al Centro di Tirrenia: era un esempio di umiltà, di generosità, di dedizione che pochi hanno. Aveva come patrimonio le cosiddette armi invisibili, che pochi mostrano ed era un modello positivo anche per gli altri ragazzi. Ha raggiunto infatti una ragguardevole classifica e ottimi risultati, anche se fisicamente non aveva quel fisico dirompente e non fosse altissimo. Aveva ai tempi un gioco un po’ troppo attendista che poteva frenarlo nella rincorsa alle prime posizioni del mondo da “grande”. Ha avuto sempre quell’atteggiamento positivo esprimendo anche un tennis vicino ai massimi livelli che gli ha consentito di essere rispettato e stimato da tutti nell’ambiente, dai colleghi agli allenatori che lo hanno seguito. Spero che nella vita riesca ad ottenere ciò che desidera, sia nel tennis che fuori dall’attività professionale.”

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Concentrazione rivolta al singolare.

La concentrazione è sul singolare senza dubbio. Vorrei riavvicinare e magari migliorare il mio best ranking, per poi giocare singolo e doppio nei Challenger. Se giochi solo il doppio non ce la fai economicamente, anche perché le competizioni a squadre, che ti fanno andare avanti e ti danno un aiuto economico importante, preferiscono i singolaristi. Come doppista hai meno opportunità, oltre al fatto che i montepremi sono inferiori e da dividere in due. Come doppista o vai nei primi 70 ed entro negli Slam e ATP oppure non ce la fai.

Perché non dedicarsi maggiormente al doppio? I partner migliori di Marco Bortolotti avuti in carriera.

“Sai cosa c’è anche? Che per un giocatore come me giocare solo il doppio è difficile anche per un motivo, che non entro abbastanza mentalmente in feeling con il torneo, ho la sensazione di perdere un po’ il ritmo. Con Julian Ocleppo (qui un focus sul giovane tennista azzurro) abbiamo fatto 3 tornei insieme, il primo lo abbiamo vinto, il secondo abbiamo fatto semifinale: nel terzo un’ora prima mi ha detto che sarebbe tornato a casa, che era distrutto. Anche con Andrea Vavassori (qui un focus sul tennista piemontese) mi trovo bene, abbiamo giocato insieme a Cortina, ma lui ha un altro ranking al momento. Avevo parlato con Galovic, prima di questo stop forzato per il Covid, per organizzarci e giocare insieme nei Challenger. Mi piace giocare insieme a chi tira molto forte, e ha un bel servizio, perché ci completiamo. Quando serve Viktor Galovic(qui l’intervista al tennista croato ma italiano d’adozione) puoi anche staccare un attimo con la testa (e ride NDR).”

Marco Bortolotti con Riccardo Bonadio ad Antalya

Come si fa a quadrare il bilancio? Facciamo i conti in tasca a Marco Bortolotti.

“Giocando il doppio e andando fino in fondo ai tornei Futures riesci a far quadrare il bilancio. Se vinci il 25mila ti porti a casa 900 Euro ed è come fare semi in un Challenger (sempre di doppio) e quindi è già qualcosa che ti aiuta. Poi se vedo che sono in bolletta magari vado a giocare un Open. Poi il BNL me lo metto sempre perché anche quella è un’entrata importante. Gioco Serie A e Bundesliga che danno respiro economico. Dicono che Francia e Svizzera pagano meglio con le competizioni a squadre ma io non ci ho mai giocato.”

La domanda di Ocleppo: quanto ti manca dire “forza Bortoooooo”?

“In realtà io mi rivolgo a me stesso con l’espressione “Bo”, comunque è una delle cose che mi manca di più del tennis è il momento in cui mi carico.”

Intervista di Alessandro Zijno (no audio)

Ciao Marco Bortolotti, mi parli della tua famiglia? E’ stata una risorsa per te e in che senso?

Ho un bellissimo rapporto con i miei genitori, mi hanno sempre supportato sia moralmente che economicamente. Mia mamma lasciò il lavoro per potermi accompagnare 2 volte al giorno da Reggiolo a Correggio. Anche quando son andato a Tirrenia, appena la chiamavo veniva a prendermi. Provava ad essere protettiva con me, e a volte se non andava qualcosa dava la colpa a fattori esterni piuttosto che considerare mie responsabilità. Io tuttavia ero abbastanza avanti come pensiero, ero abbastanza maturo anche se è quando sono andato in Spagna che davvero ho cominciato a capire cosa fosse il tennis, e a comprendere certe dinamiche. Poi l’esperienza ha fatto il resto. Mio padre è una persona più simile a me, molto tranquillo e pacato, ed è una roccia tuttora nonostante ne abbia passate di brutte, con un infarto e un ictus. La sorella gemella di mia mamma per me è stata una figura presente e determinante, aiutandomi anche economicamente senza che io le chiedessi nulla, una persona con un cuore immenso che dà tutto per i nipoti. Mi sento di ringraziarla pubblicamente. Quando gioco nei dintorni, o anche un po’ più lontano, vengono tutti a vedermi e per me è una soddisfazione e un valore aggiunto enorme”

Hai parlato di potenziale di Julian Ocleppo e Jiri Lehecka, cosa intendi per potenziale? Qualcuno dice che se a 15 anni non sei abbastanza forte non vai avanti, è così per Marco Bortolotti?

Mi sorprende come gli esce la palla dalle corde, la loro facilità di gioco, hanno potenzialità per essere grandi giocatori, poi tanto dipenderà dal livello mentale che svilupperanno.  Chi dice che se a 15 anni non sei già forte non arrivi, ha un pensiero vecchio e ormai superato. O forse non sa approfondire proprio alcuni temi. Oggi il tennista si sviluppa anche lentamente, ed è più longevo.”

Hai un manager?

Non ho manager, ho al limite qualcuno che mi ha agevolato l’ingresso in Bundesliga e qualcun altro che può darmi una mano per la Francia.”

I Taccuini di Moretto. Cosa c’è dentro? E un pensiero su di lui?

“Dentro i taccuini di Moro ci sono scritti i racconti della partita. Lui fa una analisi del match con vincenti, errori, situazioni con l’aggiunta dei suoi commenti. Alla fine dei match ci facevamo anche qualche risata insieme nel rileggerli.”

In Italia quali sono le migliori accademie? E se avessi un figlio dove lo manderesti?

Il concetto di Accademia funziona tanto in America e in Spagna. In alcuni casi è un business, finanziato da genitori russi e cinesi che ci mandano i loro figli magari anche piccolini. Sono loro che tengono in piedi queste macchine che sono le Accademie di cui beneficiano comunque magari giocatori di Elite. Io se avessi un figlio o dovessi consigliare un ragazzo giovane lo indirizzerei più verso un Maestro bravo e appassionato, una figura che lo possa guidare nella crescita, nel rapporto uno ad uno, perché nell’Accademia puoi finire ovunque ed essere uno dei tanti. In Italia da qualche anno stiamo messi molto bene, soprattutto per quel che riguarda gli allenatori. Ce ne sono tantissimi di bravi. Poi tutto il sistema è cresciuto tantissimo sotto tutti i punti di vista, giocatori, tornei, Federazione e nel modo di pensare. Ti dico che ad esempio nel circolo dove gioco la serie A i fratelli Gasbarri hanno una passione incredibile, al Runng di Appiano in Alto Adige: hanno etica del lavoro, competenza e ogni anno sfornano dei seconda categoria ogni anno, li prendono bambini e li portano su. Ogni volta che vado su vedo un ragazzino nuovo che è diventato fortissimo. I frutti escono dal lavoro. ”

Come si è evoluto il tuo stile di gioco negli anni?

Il mio stile di gioco si è evoluto negli anni: quando sono andato in Spagna ho seguito una cultura tennistica come quella iberica che si basa su pochi schemi, idee chiare in campo: tiravo rovescio diagonale, il diritto alto sul rovescio e quando mi accorciavano cambiavo ritmo. Servizio sempre in kick sul rovescio. Il concetto base era avere una identità chiara di giocatore e seguire quella impostazione. Questo ti regala solidità, infatti io mi sentivo solidissimo e con questa impostazione ho preso i primi punti ATP e la fiducia per entrare nel circuito professionistico. Fisicamente poi ero una bestia. Poi sono tornato in Italia, andando a Verona da Panajotti. Quel modello spagnolo aveva curato tanto la tattica, molto la parte atletica e il giocare in modo prestabilito riduceva le scelte, quindi gli errori e dava sicurezza emotiva. Ma tecnicamente mi sentivo indietro. Daniel Panajotti a quel punto mi propose di cambiare l’impugnatura del diritto da full western a semiwestern, lavorando moltissimo sugli aspetti tecnici. Io ho deciso di investire su questo cambiamento molto faticoso per un professionista che già ha automatizzato dei movimenti e si trova a dover cambiare. Ma è stato uno step fondamentale, che mi ha portato ad essere un giocatore evoluto, e quindi più completo. Poi quando sono andato a Bassano, dai fratelli Moretto, abbiamo ricominciato a lavorare sulle sensazioni, su ciò che avevo già messo dentro al mio bagaglio di tennista. Utilizzavamo la mia velocità di mano anche per fare gioco, tornando sul modello spagnolo. Con Marco e Tommy abbiamo migliorato il gioco al volo: loro sono molto bravi su questo aspetto. Quando il rapporto con Tommy e Marco è terminato sono rimasto da solo per qualche mese, riflettendo su quello che era meglio per me. Poi mi sono affidato a Damian Di Noto, che era Assistant Coach di Panajotti a Verona: la prima cosa che lui mi ha consigliato era di sfruttare la mia velocità che è superiore alla norma. In particolare sfruttarla in avanzamento, cercando di accorciare i tempi di gioco, andandomi a prender più punti in avanti. Senza snaturare il mio gioco ma comunque ricordando che non sono un bombardiere da fondo. Io conoscevo già il suo metodo di lavoro e i concetti su cui si basava, perché lo avevo avuto a Verona quando mi allenavo da Panajotti. Quindi parlavamo la stessa lingua tennistica, ci capivamo al volo. Ringrazio molto Damian Di Noto per il lavoro che stiamo svolgendo assieme con ottime sensazioni e ottimi risultati. Da qualche tempo ho questo gioco più aggressivo, cerco di prendere la rete quando posso, sfruttando anche le capacità di gioco al volo che ho raffinato giocando il doppio. Senza dubbio giocare il doppio con continuità ti aiuta a sviluppare un tennis più propositivo, più offensivo, con soluzioni che poi ti ritrovi anche in singolare. Mi sento oggi un giocatore migliore di quello che ero quando ho fatto best ranking.”

L’argomento un po’ tabu delle scommesse.

“E’ un business su cui si basano molte organizzazioni sportive, perché porta soldi. Il tennista però che si vende le partite a me fa pena. Alla fine ti devi guardare allo specchio e se hai guadagnato dei soldi illegalmente, anche se sei in difficoltà economica, sicuramente non starai bene con te stesso e non sarai felice. La maggior parte di noi non gioca per i soldi ma per vivere le emozioni che lo sport regala. Gioire e rammaricarci tante volte, ma il carburante sono le emozioni che viviamo e non i soldi.”

Tu giochi molto su terra, puoi adattarti bene al cemento?

Io mi sono sempre sentito a mio agio sulla terra e gioco principalmente sul rosso perché lì sono cresciuto e sono tanto abituato a quei ritmi di gioco. Tanti allenatori mi dicono che la mia velocità potrebbe essere sfruttata anche sul cemento, togliendo il tempo all’avversario. In effetti ho fatto belle partite anche su superfici rapide, anche indoor, ma ho finora sempre fatto fatica quando mi sono trovato davanti dei grandi battitori sul veloce. Invece sulla terra mi trovo più a mio agio anche contro chi serve molto bene: per questo gioco più su terra e poi non sono riuscito mai a fare tante partite di fila bene su altre superfici. Per cui non ho ancora preso questa consapevolezza, questa fiducia, per poter fare davvero performance in modo continuativo sul veloce.”

C’è un collega che ti ha sorpreso positivamente?

Un giocatore che mi ha sorpreso per risultati è Sonego, forse perché quando io ci ho giocato che lui era sui 400 ATP, mi ci sono allenato e fatto match, non mi dava particolarmente fastidio. Quindi la sua salita si spiega perché ha delle doti non comuni: la dote più grande è che è libero di testa e vive serenamente quello che fa. Lui è uno con una mentalità pazzesca, lotta su ogni palla, vuole mettere tutto sè stesso nella partita e io lo stimo molto per questo. Che stia sul campo 117 di Santa margherita di Pula o sul centrale di Wimbledon lui non molla niente e vive appieno ogni istante e questa dote ce l’ha dentro, è di natura.”

Alessandro Zijno