Gianluca Carbone, coach di Lorenzo Giustino: “Lavoro tecnico e consapevolezza, i risultati si vedono”

Lorenzo Giustino raggiunge la finale a Launceston, avvicina il best ranking e il suo Coach Gianluca Carbone racconta il suo metodo e il lavoro con tennista campano.

Premessa: io ho conosciuto Gianluca Carbone senza che lui sapesse mai nulla di me. Ero uno delle migliaia di persone che su youtube vedevano i suoi video: come istruttore mi abbeveravo alla sua fonte, rubavo gli esercizi, il modo di comunicare, sul campo provavo ad applicare quei suggerimenti che trovavo in rete da Gianluca. Insomma l’ho sempre apprezzato molto senza che lui conoscesse nemmeno lontanamente il mio nome. Sapevo che aveva una sua Academy a Treviso e girando i tornei Challenger qualcuno mi aveva parlato di lui come di un ottimo coach. Il suo libro “Il gioco della consapevolezza”, uscito lo scorso anno, poi è una chicca da non perdere per allenatori di qualsiasi livello, genitori di figli che giocano, appassionati di varia natura.
Ex Coach e Phisycal Trainer di Elena Bovina (14 WTA) e collaboratore nello staff di Oliver Rochus (24 ATP) Gianluca Carbone è un allenatore molto stimato e conosciuto nell’ambiente ma forse poco reclamizzato dai media italiani. Nel 2016 presso l’Academy di Diego Nargiso si era già occupato di migliorare e far crescere Lorenzo Giustino di cui ora è il coach ufficiale da giugno 2018.
Giustino finale a Launceston (clicca qui per il resoconto della settimana), le impressioni a caldo di Coach Gianluca Carbone:“Ovvio che siamo felicissimi di come è andato il torneo australiano. Abbiamo qualche recriminazione per la finale, il risultato è più pesante del previsto, Lorenzo ha giocato meno bene delle altre gare. In questo ultimo periodo, ma direi anche fin da subito, abbiamo lavorato sugli aspetti tecnici. Volevamo dare sicurezze tecniche sui colpi in modo che al variare delle condizioni (palle, superficie, avversario, extra) Lorenzo potesse sentirsi pronto a trovare delle misure per adattarsi. Tutto passa dalla tecnica e il lavoro sulla pulizia dei colpi è stata una delle priorità. La crescita tecnica finisce per influenzare anche gli altri aspetti della performance, come quelli fisici e mentali. Per farti capire Lorenzo si sentiva più sicuro sulla terra, per ovvi motivi di esperienza: sulle superfici veloci aveva bisogno di sentirsi più sicuro nell’adattarsi, potendo approcciarsi con una tecnica che sentisse di maneggiare meglio. E questo è successo ultimamente. Uno dei piccoli/grandi segreti è il molto lavoro fatto sulla pedana propriocettiva, sulla quale spendiamo un tempo importante. Poi troviamo molto utile la Visual Training, con esercizi specifici e come aneddoto ti posso dire che altri ragazzi più abituati al lavoro tradizionale magari restano colpiti e impressionati e gli può scappare da ridere. In fondo questi buoni risultati ce li aspettavamo perché stiamo lavorando molto bene. Spero ci siano altre settimane come questa nel corso dell’anno. Intanto è stato importante per tutti noi avere la certezza (io già lo sapevo) di poter fare risultati anche sul cemento outdoor. Con il gioco aggressivo che ha Lorenzo può davvero far bene anche sul veloce. Stiamo lavorando anche sull’atteggiamento, cioè sul cercare di dare il massimo in qualsiasi situazione, senza farsi influenzare da variabili negative, che se pur oggettive, fanno parte del gioco. I più grandi campioni hanno due cose fondamentali dalla loro parte: la prima sono le armi cui dispongono, la seconda è che sono guerrieri ogni giorno. Tanti giocatori non arrivano al top o perché non hanno armi o perché non sono guerrieri. Per armi intendo una buona tecnica. Molti atleti pensano di dare il massimo ma in realtà non sono consapevoli di cosa voglia dire davvero “dare il massimo” e bisogna farlo in ogni momento. Hic et Nunc. Roger Federer, solo per citarne un campione, ha giocato quest’anno dei match vincendo con una percentuale bassa di prime palle di servizio senza fare una piega.”


LA FILOSOFIA DI GIANLUCA CARBONE
Per prima cosa Gianluca Carbone è uno studioso, uno che approfondisce tutto. Fin da ragazzo è sempre stato curioso, paziente nella ricerca, non è un caso che si sia laureato con 110 e lode in Scienze Motorie. La grandissima passione per il tennis poi ha portato prima da giocatore, poi da allenatore ad applicare le teorie sul campo sperimentando e arrivando ad un suo metodo personale che non è riassumibile ovviamente in poche parole ma che proveremo a racchiudere con qualche chicca. Ciò che Gianluca ci dice è che “il tennis è consapevolezza”.

“La ricerca della consapevolezza tecnica, strategica, tattica, fisica, mentale e della propria personalità è il punto in comune di ogni mio approccio all’allenamento. Il Tennis mette a nudo punti deboli e punti di forza. Ti fa sentire sullo stesso piano degli altri, poiché non c’è nessuno in campo a cui puoi chiedere aiuto. Ci sei tu, le tue capacità e la tua esperienza in una situazione imprevedibile, sempre diversa dove l’unica certezza è la consapevolezza che si crea con l’esperienza. “L’esperienza non è ciò che succede a un uomo, ma quello che un uomo realizza utilizzando ciò che gli accade.” Questa frase di A. Huxley richiama il mio motto di vita “Homo faber fortunae suae” come dicevano un tempo i Romani o anche “Fortunae robur antecellit”; e cioè che l’uomo è artefice del proprio destino, proprio come il fabbro prova a plasmare il ferro. Non intendo dire che se uno vuole può, poiché sarebbe presuntuoso e onnipotente ma, ricorrendo all’esperienza e al proprio senso di autoefficacia, che in parte dall’esperienza deriva, può controllare il fluire degli eventi e modificarne il percorso. La realizzazione personale implica volontà. A. Schopenhauer diceva “..asservire l’intelligenza alla volontà facendo appello alle forze irrazionali”. Nella vita serve una volontà assoluta di fare, un imperativo categorico come lo definiva Kant per raggiungere le mete e per rialzarsi quando si cade, nella piena consapevolezza della propria efficacia. L’autoefficacia rappresenta una forte spinta ad agire, a compiere scelte, a cambiare ciò che non va; è una forza che spinge a realizzarci ben sapendo che l’esistenza spesso la farà vacillare, è un potere che dà il senso alla vita e che ciascuno di noi porta dentro di sé. Ho preso spunto da allenatori di grande successo per elaborare programmi di allenamento che mirano a riconoscere ogni parte di se stessi per poi svilupparne il controllo o limitarne il coinvolgimento. Dalla ricerca di un metodo semplice e chiaro, quello spagnolo di Luis Bruguera per chi ha bisogno di certezze e punti saldi, allo sviluppo degli appoggi e della propriocettività podalica di S. Sosa e A. Musulin, fondamentali per una tecnica solida. L’analisi del visual training degli optometristi posturali e comportamentali è il punto di partenza per la ricerca della consapevolezza motoria. Le criticità nelle perdite di equilibrio abituano ad adattarsi ad ogni situazione come sostiene E. Meyer. La metodologia americana di G. Jaramillo consiglia l’approccio monotematico per automatizzare l’apprendimento. Le mie elaborazioni sulla base degli studi di scienze motorie, degli approfondimenti dopo e soprattutto della sperimentazione diretta prima su di me e poi su migliaia di allievi ha dato vita a “Il gioco della consapevolezza” di cui ho fatto anche il titolo del mio libro. Però non si possono imporre idee e metodi, ma bisogna rispettare le scelte e le sensazioni del giocatore. Faccio un esempio: la Bovina giocava il dritto in closed stance e per questo aveva difficoltà nei recuperi. Ho provato a farla colpire da una posizione più frontale, in modo che potesse completarsi, ma era molto rigida. Mi disse che con quella tecnica aveva raggiunto i quarti allo US Open e voleva continuare così. L’episodio mi ha fatto capire che è molto importante rispettare esigenze e sensazioni. Anche se hai ragione, devi arrivare gradualmente alle conclusioni, senza mai importi. Questo non significa non seguire un certo percorso, ma bisogna entrare nella testa del giocatore e individuare il percorso migliore per ottenere risultati. In effetti, molti giocatori si bloccano e non migliorano perché rifiutano il cambiamento. “


L’incontro con LORENZO GIUSTINO
“Il progetto di lavorare con Lorenzo Giustino è nato nel 2016 grazie a Diego Nargiso. Lorenzo si allenava nella sua accademia, ma Diego aveva bisogno di supportarlo con un coach che lo accompagnasse nei tornei. Dopo un po’ la collaborazione si è interrotta per motivi logistici, visto che lui risiede a Barcellona, ma sin dal principio si era creato un ottimo feeling. Abbiamo continuato a sentirci e quest’anno è nata l’esigenza di tornare a collaborare. Lorenzo voleva riprendere determinati lavori e da lì siamo ripartiti. Difficile dire dove possa arrivare: dal punto di vista tecnico e fisico, ritengo non abbia niente da invidiare ai top 50 ATP. Non voglio esagerare parlando di top 30, ma sui primi 50 sono sicurissimo. Ne ha affrontati diversi e il livello è simile. Stiamo lavorando su vari aspetti, se è ancora numero 200 significa che c’è tanto lavoro da fare. Tuttavia, le potenzialità sono enormi. E io ci credo tanto. Il suo stile di gioco è certamente di estrazione spagnola: è completo e abbastanza aggressivo da fondocampo ma può giocare di più a rete. È la direzione in cui stiamo andando: attaccare di più rispetto allo schema tipico degli spagnoli. Ho approfondito i sistemi utilizzati da Luis Bruguera e analizzato a 360 gradi quello che diceva sull’apprendimento negli sport individuali. Gli spagnoli hanno una caratteristica: fanno raggiungere al giocatore la massima espressione del suo tennis senza volerlo completare a tutti i costi, ma specializzandolo il più possibile. Questo avviene intorno ai 14, 15 anni. Se il ragazzo non ha grandi capacità coordinative, lo fanno sviluppare in quello che gli riesce meglio, privilegiando il gioco da fondocampo, il meno rischioso. È il concetto di difesa aggressiva. Gli spagnoli hanno un tennis ripetitivo, adottano sempre le stesse soluzioni, anche se adesso stanno passando a un sistema più aperto. Prendiamo il dritto inside out: fino a qualche tempo fa lo insegnavano a scatola chiusa, passando la palla con la mano, poi con la racchetta, quindi in palleggio. Adesso lo inseriscono in una situazione di gioco reale. Più in generale, ripetere sempre le stesse azioni aumenta fiducia e sicurezza. Lo spagnolo sa quello che può dare, toccherà all’avversario essere più bravo di lui e batterlo. È il contrario di chi si deve adattare alle situazioni e, se non gli riesce un colpo, questo può condizionare l’esito della partita. Penso ai francesi, che sono l’esatto opposto: hanno un tennis spettacolare, sanno fare tutto, ma il loro gioco è più dispendioso. E infatti uno dei motivi per cui non vincono grandi tornei è che arrivano stanchi alle fasi finali.
Lorenzo, a differenza di altri, è culturalmente di alto livello. Legge tanto e si informa ancora di più, forse questa è una delle ragioni che ci ha avvicinato. Vuole che gli spieghi dettagliatamente ogni cosa e, su argomenti importanti, mi chiede se ci siano ricerche scientifiche oppure se mi baso soltanto sulla mia esperienza. Più in generale, cerco di avere un approccio umile: se è vero che i giocatori non hanno grandi competenze, se scavi nelle loro sensazioni puoi scoprire cose incredibili. Frequentando i tornei Challenger ne sto conoscendo molti ed è un aggiornamento continuo. Se hai la giusta apertura mentale, ti aiutano a migliorare. Magari alcuni tennisti non sono consapevoli di quello che fanno, eppure svolgono un’attività che non è alla portata di tutti.”
Alessandro Zijno