Adrian Voinea, il tennis maschile romeno ha bisogno di te

Adrian Voinea intervistato da Luca Fiorino che è una istituzione come giornalista almeno quanto Simona Halep come giocatrice e ha condotto benissimo. Adrian è una persona speciale, lo dicono tutti. Quando parli con il mio presidente GPTCA Alberto Castellani ti dice che Adrian è stato probabilmente l’allievo che gli ha dato le maggiori soddisfazioni, come crescita umana in particolar modo. Un allievo prassico mi disse una volta, perfetto nel senso di allievo che apprende e stimola a sua volta il maestro. Infatti mi sono spesso sorpreso di non leggere sue interviste, perchè per me ad esempio nell’insegnare deve essere molto bravo. Lo vedo benissimo anche al vertice di una dirigenza tecnica di una federazione, ha esperienza, approfondisce i temi, ha soft skills altissime, per la crescita del tennis romeno maschile potrebbe essere d’aiuto. C’è Filip Cristian Jianu, 18 anni e numero 400 del mondo, che mi risulti giri parecchio, che sia andato in America e anche da Mouratouglou se non erro, ma in sostanza fa base a bucarest e immagino che la federazione romena ci tenga a seguirlo. Per altro potrebbe fare lui, come Halep, un domani da volano per il movimento tennistico della Romania, anche perchè da quello che so Copil è fortissimo ma ha anche un carattere che non lo rende molto gestibile in una gerarchia come deve per natura stessa essere una istituzione federale.

45 anni, romeno, Ex numero 36 al mondo, vincitore di 1 titolo ATP, rovescio ad una mano favoloso, quarti di finale al Roland Garros, italiano di adozione.

Come stai e dove ti trovi.

“Come tutti sto a casa, dobbiamo tenere botta, adattarci. Io mi trovo a Perugia, vorrei essere vicino alla mia bimba e alla mia compagna in Romania ma per il momento aspettiamo che i tempi cambino.”

Come è la situazione in Romania?

E’ un po’ meno grave ma sta crescendo purtroppo. La diffusione del virus è un po’ più contenuta.”

Come è Adrian papà:

“Non pensavo fosse così bello. Tutti mi dicevano che avrei guardato la vita sotto un’altra prospettiva. Alla fine quello di grande (o piccolo dipende dai punti di vista) ho fatto in carriera è niente rispetto alla felicità di tenere in braccio la tua bimba. Si chiama Sofia, e sono sempre stato attratto dalla filosofia e Sofia è assonante a filosofia che significa amore per la conoscenza. Mi è piaciuto anche un libro “il mondo di Sofia” del danese Jostein Gaarder nel quale spiega il mondo della filosofia ad una bimba, appunto Sofia.”

In questi giorni richiuso in casa hai rispolverato qualche passione?

“In realtà il tempo passa senza fare nulla di particolare. Mi informo, guardo video, leggo, approfondisco, però a volte arrivo alle 7 di sera e non so di preciso cosa ho concluso.”

Quale è il tuo primo ricordo legato al tennis

“Il primo ricordo è mio fratello, che ha iniziato prima di me. Il primo in assoluto è stato mio padre che seguiva Nastase, Tiriac, che erano eroi nazionali. Oggi c’è Halep che fa da traino. Io ero bambino ma guardando mio padre e mio fratello per imitazione mi sono appassionato, avevo più o meno 8 anni.”

La tua storia è particolare

“Io sono nato in una cittadina di circa 80mila abitanti dove sono rimasto fino all’età di 12 anni, quando ci siamo trasferiti a Bucarest sempre per il tennis. Abbiamo avuto una offerta in quel circolo a Budapest e quando cadde il regime di Ceaucescu siamo partiti per l’Italia per una casualità: un amico di mio fratello aveva una cugina a Torino e approdammo alle Pleiadi quando quel famoso gruppo di Riccardi Piatti (Caratti, Brandi, Furlan, Mordegan) stava nascendo. Io avevo 15 anni e li ho conosciuti proprio all’inizio delle varie carriere. Lì sono rimasto un mesetto circa. Dopo Torino siamo partiti per avventurarci nei tornei ma non avevamo un posto fisso dove allenarci, una base, niente. Eravamo nomadi, senza fissa dimora, girando di torneo in torneo, fino a quando in provincia di Teramo non abbiamo incontrato Vittorio Roiati (morto nel 94 NDR e personaggio leggendario per il tennis ascolano) che ad Ascoli Piceno aveva una scuola e aveva allenato anche Monica Seles. Il professor Roiati ci diede una casa, regalandoci stabilità e sicurezza, e ci aiutò molto essendo un punto di riferimento. Ci allenavamo al circolo suo. Anche a Firenze stesso discorso, Fanucci ci aiutò perché non avevamo i mezzi economici per poter far fronte a quelle che potevano essere tutti i costi. Questi amici si prodigavano per trovarci ospitalità e non farci spendere di alberghi quando andavamo in giro per i tornei. Pensa che a Torino ci aiutò persino una suora, Suor Angela che non la dimenticheremo mai: non avevamo i soldi per partire e andare a Firenze, e Suor Angela ci regalò l’equivalente di mille euro se non ricordo male, o qualcosa del genere. Ci disse di non rivolere soldi indietro ma di aiutare a nostra volta chi avesse bisogno. Pur non essendo religioso, apprezzo molto questo modo di comportarsi di molti uomini e donne di Chiesa.”

Poi Castellani vi ha accolto a Perugia a casa sua, ed è stato un momento importante per la tua maturazione

Sì lui è stato una figura fondamentale per me, con Alberto Castellani sono diventato numero 36 del mondo e ho imparato tantissime cose che ora riporto ai miei allievi. Mi ha inizialmente dato la possibilità di allenarmi lì a Perugia dove c’era un bel fermento di tennisti di livello importante, e io potevo allenarmi lì gratis, senza pagare, suo ospite. Fu un benefattore.

Tu hai vinto un torneo ATP a Bournemouth , cosa ricordi di quel torneo?

“E’ stata una settimana particolare perché non stavo vivendo un buon periodo agonistico ed era la prima (e ultima) volta che giocavo su terra verde. Quindi sulla terra verde sono imbattuto (e ride NDR). Vinsi una partita pazzesca con El Ayanoui in semi, perché cominciava a piovere, poi si fermava, fu un match particolarissimo. La finale infatti la giocammo di lunedì, e si parlava addirittura di non disputarla dividendo il prize money, cosa che poi non si fece. Infatti poi battei Koubek 7-6 al terzo. Lui aveva battuto Enqvist che mi metteva sempre in difficoltà.”

Cosa è cambiato negli ultimi 20 anni nel tennis?

“Dal punto di vista tecnico sono cambiate alcune cose, perché adesso c’è un gioco più potente, prendi solo il servizio: ora tutti o quasi servono a 200 all’ora. Tuttavia penso che in realtà se un giocatore avesse attraversato questi 20 anni, si sarebbe evoluto insieme al resto dell’universo tennistico. Prendi Roger Federer, è cresciuto tantissimo, si è evoluto nel corso degli anni, non è lo stesso giocatore di quando aveva 18 anni proprio in senso tecnico: è più economico nei movimenti e si è giovato di questa crescita generale della potenza per adattarsi. Uguale fece Santoro che giocò fino a 40 anni e attraversò varie epoche tennistiche. Adesso, rispetto ad allora, c’è qualcosa di diverso nella preparazione fisica: ai miei tempi il lavoro atletico del tennista non era così lontano da quello che facevano gli atleti di varie discipline dell’atletica leggera. Facevamo le ripetute sui 500 metri, sui 1000 metri, e oggi si lavora diversamente anche in palestra. Oggi c’è più preparazione specifica per quel che ti serve, un lavoro più personalizzato. C’è meno improvvisazione e più una linea progettuale nella costruzione o nello sviluppo atletico di un tennista.”

Hai battuto Boris Becker al Roland Garros, hai battuto Muster a Indian Wells, hai battuto Juan Carlos Ferrero a Miami, poi ad Amburgo hai sconfitto in 3 set Tim Henman, queste le tue vittorie contro top ten in carriera.

“Quella con Boris Becker nel 96 a Parigi forse è quella più importante, io in quel momento ero quasi uno sconosciuto, avevo superato le quali e anche quella fu una partita giocata in due giorni. Entrammo in campo alle 7 di sera, condizioni per lui non favorevoli e poi la partita fu fermata e ripresa il giorno successivo. Alberto Castellani (e nei suoi corsi GPTCA che ho frequentato ricorda spesso questo momento NDR) mi disse che probabilmente ero entrato in uno stato di flow, quella particolare condizione per la quale tutto ti capita senza che quasi tu ne sia consapevole. E’ come se il tuo corpo fosse uno strumento di qualcosa più grande di te. Lo stato di flow è proprio questo, è quasi una assenza della mente, che a volte al contrario impedisce l’esecuzione del gesto tecnico quando è troppo sollecitata. Questo stato magico, una situazione quasi mistica, arrivò per caso come accade alla maggior parte dei tennisti di qualsiasi livello, ed oggi si prova ad allenarla. Anche la vittoria con Muster fu una bella gara, lui era il numero uno del mondo. Ero con Julian Vespan che era il mio allenatore in quel momento ed eravamo insieme: tatticamente l’avevamo preparata molto bene. Con Henman ci avevo sempre perso sul veloce e mi presi la rivincita sulla terra.”

Ti ricordi molti particolari, hai una memoria pazzesca

“In realtà alcuni ricordi li ho rimossi. Il compianto Federico Luzzi che si allenò per un periodo proprio da Castellani, era un ragazzo meraviglioso, sempre allegro, ricordava un po’ Valentino Rossi negli atteggiamenti che venne a mancare per una leucemia fulminante e fu una disgrazia che colpì moltissimo il mondo del tennis. Ho parlato di lui perché una volta mi disse della nostra partita a Biella, e io non la ricordavo per nulla. E tuttora non ho nessun ricordo di quella gara, in cui gli annali dicono che persi al terzo. Di Biella mi ricordo quando vinsi il Challenger, battendo Rochus in finale 6-4 al terzo. Sconfissi Canas in semi, e Canas veniva da un bel risultato al Roland Garros.”

Quale fu il talento mai esploso davvero ai tuoi tempi?

“Parlavano molto di Mosè Navarra (qui la sua intervista), talento pazzesco, appena arrivato dagli Juniores, che poi però forse non ha mantenuto tutte le aspettative che erano altissime su di lui. Razvan Sabau (ex numero 74 del mondo, oggi 42 anni NDR ed ha giocato l’ultimo torneo nel 2019 a Cancun e ha vinto partite anche a 41 anni nei Futures in Romania) che vinse il torneo Wimbledon Juniores poi si è fermato un po’ per vari motivi. Però ci si aspettava senza dubbio di più, come del resto un altro mancino fortissimo come Gianluigi Quinzi.”

Quanto è difficile il passaggio dal mondo Junior a quello PRO?

“Occorre per un giovane la fortuna di avere l’allenatore giusto e l’intelligenza di seguirne i consigli, avendo l’apertura mentale e la maturità per farlo. Ad esempio vidi una volta Quinzi a Perugia e durante l’allenamento mi sembrò non avesse quell’ atteggiamento che chi vuole sfondare deve avere. In quel periodo si allenava con un allenatore spagnolo, Marcos Aurelio Gorritz che mi disse che lui parlava e gli sembrava che Quinzi ascoltasse molto relativamente. Aggiunse che gli sembrava che cercasse più un complice che un coach: qualcuno che avvalorasse le sue convinzioni o credenze. Il rapporto tra giocatore e allenatore è sempre molto delicato: essendo stato da una parte e dall’altra capisco che è difficile. In realtà ciò che serve è un dialogo costruttivo, un continuo processo di apprendimento da parte di tutti e due. Molti atleti cercano una soluzione facile e comoda e non è mai così. Non esiste una formula magica. L’allenatore mostra la via, una strada percorribile, poi è l’atleta a seguirla, a percorrerla.”

Campionato Veterani a squadre Over 40 all’All Round a Roma. Finale con Antonio Scala, ti ricordi?

Ricordo, finalissima, ero avanti un set e 5-3, ma ci fu un problema di palline, qualcosa di strano. E’ diverso giocare ad esempio senza cambio palle, sembra un dettaglio ma non è così. Se giochi un set e mezzo con 4 palle, queste non rispondono più alla tua tipologia di gioco, hai meno sensibilità. E’ un tennis diverso. Fu una partita combattuta, poi alla fine il mio colpo di coda, e ho portato al successo lo Junior Tennis Perugia.”

Ti sentivi più adatto al gioco sulla terra o sulle superfici rapide?

Io ho iniziato a giocare a tennis sulla terra rossa in Romania e quindi ho pensato per lungo tempo che la terra fosse più consona per il mio tennis, ma col senno di poi ti posso dire che forse il mio modo di giocare si potesse adattare molto bene sia al cemento che soprattutto all’erba. A Wimbledon ad esempio c’è un equilibrio precario perché l’erba cambia i tuoi appoggi che non possono essere così stabili e io potevo adattarmi bene. Così come il rimbalzo sull’erba che è basso, e io sentivo meglio la palla all’altezza dell’anca piuttosto che più in alto. Tanto è vero che soffrivo il gioco arrotato sul modello spagnolo che mi faceva colpire la palla molto più su. Infatti con Alberto Costa ho sempre vinto sul veloce mentre sulla terra sono sempre stato bastonato. Avendo un buon timing e un gioco abbastanza piatto (con poche rotazioni) sì, potevo fare di più sulle superfici più rapide.”

Il ricordo dei quarti al Roland Garros.

“Ricordo la tensione dal secondo giorno in poi. Del resto la partita con Boris Becker era speciale per mille motivi, a cominciare dal fatto che lui era uno dei miei idoli quando ero bambino. Pensa che il servizio ho imparato a farlo come lui, atterrando con la gamba destra. Poi battei Chesnokov, perdendo da Chang. Alla fine ero esausto, provenivo dalle qualificazioni, tante partite nelle gambe.”

Situazione del tennis romeno.

“In Romania c’era una tradizione del rovescio ad una mano, anche se Sabau a due mani giocava benissimo il rovescio. Pescariu, Pavel, avevano rovesci ad una mano pazzeschi. Oggi c’è Copil e il movimento romeno paga un problema economico: servono più soldi di una volta, soprattutto nel mio Paese, più ancora che qua. Quindi la base che può permettersi di provarci si assottiglia. E poi c’era più selezione. Il ragazzo che non era così portato veniva in qualche modo indirizzato verso altri sport dove poteva essere più competitivo: c’era una concezione che portava maggiormente all’agonismo. Adesso è più basato sul business. In realtà poi il tennis femminile invece gode di ottima salute. Probabilmente sulla scia di Simona Halep che fa da traino, molte ragazzine iniziano a sognare e per imitazione trovano delle motivazioni più profonde per metterci l’anima: la Halep mostra quella aggressività, è vulcanica, trascinante, un esempio vincente. E’ piccolina, non un gigante, ma è “Ercolina” perché è forte fisicamente. Le sue competitor sono o erano tutte molto più alte o dotate naturalmente: Sharapova alta 185 cm, Serena potentissima, Halep invece si è dovuta costruire, sta bene perché ci ha lavorato e per questo diventa un modello.”

Di cosa ti occupi oggi?

“In questo preciso momento non ho occupazione, è nata mia figlia 10 mesi fa e a lei ho dedicato questo periodo della mia vita. Con la mia compagna dobbiamo prendere delle decisioni importanti sul nostro futuro e valuteremo al termine di questo periodo particolare. Non escludo nulla, e amo il tennis. Amo studiarlo, e mi piace l’idea di insegnare. Quindi poter dare una mano nel miglioramento di un tennista professionista mi affascina e la figura dell’allenatore mi piace un sacco.”

Segui il tennis di oggi e chi sono i giovani più interessanti?

“So che in Italia ce ne sono tanti di giovani fortissimi, a partire da Sinner, Musetti. Loro possono essere il futuro del tennis italiano. Per gli stranieri li conosciamo, Rublev, Tsitsipas, ora devono dimostrare di poter tenere testa a quei tre mostri lassù. Vedremo dopo questo stop forzato, io credo che comunque alla fine Nadal raggiungerà Roger come numero di Slam, e potrebbe anche essere che Djokovic faccia altrettanto.”

Hai rimpianti per il ritiro nella finale del torneo di Palermo?

“Lì mi sono infortunato al braccio destro e sentivo una fitta, dovendomi fermare. Contro Alami ero avanti, dovevo vincerla per come stavo giocando. Mah, sai, i rimpianti non vanno mai bene. Se è andata così, vuol dire che così doveva andare, tanto non aiuta avere rimpianti.”

Alessandro Zijno