Salvatore Caruso, attualmente numero 100 del mondo, racconta i suoi esordi e il suo 2019 meraviglioso che l’ha portato ai massimi livelli grazie alla sua tenacia e al rapporto splendido col coach Paolo Cannova

Alessandro Nizegorodcew per Sportface.it ha raccolto le osservazioni sul periodo e sulla carriera del forte tennista siciliano Salvatore Caruso, 27 anni, oggi numero 100 ATP.

Qui il link del video
Quarantena
“Mi trovo in quarantena alla parte vecchia di Avola, il mio paese, in una frazione che noi chiamiamo “la montagna” ed è a circa 500 mt sul livello del mare. Venendo dagli Stati Uniti ho dovuto comunicare la mia presenza qui e mettermi in autoisolamento, e vengono anche a controllare. Sono tornato ai tempi delle medie in pratica, quando essendo piccolino mi allenavo molto meno. Però è un periodo così, bisogna stare in isolamento, per la saluta propria e di tutti. L’altro giorno ho cominciato a correre come un pazzo nei 15 metri disponibili nel corridoio, forse perché stavo sul divano da 3 giorni. Non ho molti attrezzi qui, questa è una seconda casa, per cui mi arrangio per allenarmi con quello che ho. Il mio preparatore mi ha mandato un programma e proverò a seguirlo al meglio, come sto già facendo da qualche giorno.”


Gli inizi
“Io ho in realtà iniziato un po’ più tardi della media a provare a giocare come professionista, ed è stata una scelta ragionata anche con i miei genitori: finiti gli studi per diplomarmi al Liceo Scientifico pubblico, abbiamo convenuto che mi sarei dedicato un paio di anni solo al tennis per vedere cosa succedeva. Ed eccomi qui. Ricordo l’entusiasmo che mi ha sospinto i primi tempi, quando esordivo nei tornei internazionali, e cominciavo a girare il circuito. Mi ricordo un torneo al CT Eur a Roma nel 2012 dove eravamo tanti siciliani, io, Cammarata, Campo, Omar Giacalone, Claudio Fortuna: alcuni di loro si allenavano a Roma con Simone Ercoli e Giampaolo Coppo e quindi avevano un piccolo appartamento dove stavano tutti insieme e io mi ero aggiunto passando momenti indimenticabili. Era il periodo dei Futures, meraviglioso. Non c’è stato un momento chiaro in cui ho capito che avrei potuto raggiungere il traguardo del professionismo.”
La crescita
“In realtà sono stati tutti piccoli passi, conquiste giorno per giorno. Per carattere e abito mentale mio ho bisogno di compiere tutti i passi necessari nelle cose della mia vita. La mia crescita è stata un processo graduale, come si può anche vedere dalla classifica. Ogni gradino mi regalava una consapevolezza nuova che mi permetteva di salirne un altro. Molte volte è stato il mio allenatore Paolo Cannova a darmi carica, a dirmi che potevamo farcela, e a spronarmi affinché fossi sempre più convinto, magari nei momenti meno felici sul piano dei risultati. In alcuni casi ero molto vicino a fare il salto, è capitato a Roma in un paio di occasioni: la prima con Coric quando ho avuto anche un match point, l’altra contro il francese Mannarino in cui ero avanti di un break nel terzo set e non ho gestito al meglio la situazione. Il torneo di Roma è il sogno di quasi tutti gli azzurri, che baratterebbero forse anche uno Slam in cambio della conquista del Foro Italico, e penso che avrò altre occasioni e che sarò in grado di giocarmele meglio, oggi che ho maggiore esperienza e consapevolezza.”


Il Coach Paolo Cannova
“Da sempre il mio allenatore è Paolo Cannova, con il quale il rapporto è proficuo sia sul piano professionale sia su quello umano. Ci sono Coach che lavorano sul campo con i loro giocatori, poi però tennista e allenatore fanno vite separate. Io non riuscirei, ho bisogno di condividere di più che il solo tennis e con Paolo ho potuto farlo fin da subito. Ci siamo conosciuti un po’ per caso perché io mi ero allontanato dal mio circolo per seguire Claudio Rodilosso, poi sono riapprodato al circolo originario e lì ho trovato Paolo che allenava Massara. Abbiamo cominciato ad allenarci assieme ed è scattato quel feeling che ancora ci unisce. Ritengo una fortuna enorme averlo incontrato, non sarei il Salvo Caruso di oggi senza di lui.”


Il 2019, l’anno della svolta
“Il 2019 è stato l’anno della svolta, con l’ottimo torneo di Umago ma prima soprattutto il Roland Garros dove partendo dalle quali sono arrivato a sfidare Djokovic al terzo turno. Tutto parte dal primo turno di quali contro Norbert Gombos, un tennista ostico contro il quale mi trovavo sotto e ho dovute recuperare lottando come una bestia. Il secondo turno è stato più agevole contro il cinese Ze Zhang, ma poi nel turno decisivo per entrane nel tabellone principale ho avuto e dato a tutti la dimostrazione di essere maturato battendo Dustin Brown in un match difficilissimo per vari motivi. Perché Dustin è un giocatore particolare (non ti dà alcun ritmo, gioca tirando tutto e scambiando pochissimo NDR), e con Coach Paolo Cannova ne avevamo parlato a lungo e avevamo preparato la gara. Ci avevo già giocato 3 volte e ci avevo sempre perso, per cui ci siamo messi a riguardare i video per capire qualche potesse essere la tattica migliore e dove potessi metterlo in difficoltà. Sono stato molto bravo alla fine ed ero felicissimo tanto che nell’intervista dopo il match sono scoppiato in lacrime, lacrime di gioia, di felicità e che anche lasciavano fluire tutta la tensione accumulata. Per me questa è stata forse una delle partite più importanti che mi ha reso ancora più consapevole e mi ha dimostrato che potevo risolvere molte situazioni tecnico-tattiche in campo che fino a poco tempo prima mi davano fastidio. Quindi nel primo turno del tabellone principale, contro lo spagnolo Munar, sono entrato in campo convinto di potermi giocare le mie carte, ma anche sapendo che Munar è un tennista molto difficile da battere sulla terra: primo set vinto in lotta, fino al 5 pari non c’erano state palle break; poi ho perso il secondo in malo modo, ma ho reagito ancora una volta con veemenza e mi sentivo solido. Questa solidità l’ha sentita anche il mio avversario e ho vinto una partita che era davvero difficile. Nel turno successivo avevo il francese Simon, e prima di entrare in campo ero tesissimo, davvero contratto. Poi una volta dentro ho avuto sensazioni clamorose, non che tirassi solo vincenti, ma sentivo di dominare il gioco, ero in totale fiducia, anche rivedendomi dopo il match ero un Caruso diverso, che giocava quasi dentro al campo con una scioltezza incredibile. Credo di non aver mai provato sensazioni del genere prima (il classico “in the zone” degli americani, il cosiddetto stato di Flow NDR). Al termine del match persino i tifosi francesi si sono alzati per applaudirmi. Con Djokovic poi, grazie a Paolo Cannova, avevo il doppio dei miei tifosi nel mio box, e c’erano una marea di amici oltre ai miei familiari, il che mi ha dato una soddisfazione incredibile. E non ho giocato affatto male, anzi, ho tenuto testa al campione serbo. Poi aggiungo una cosa, la prossima volta che ci dovessi giocare penso di poter fare ancora meglio: ho fatto partita pari con un campione come Nole per due set, però ho dei margini da giocarmi. Nel terzo set poi sono crollato, anche perché avevo alle spalle tanti match durissimi. Per arrivare in top 100 però è servito un torneo di Umago fenomenale e poi il successo nel Challenger di Barcellona dove ho battuto avversari molto complicati. Però tra i due tornei c’è stato un infortunio fastidioso che mi poteva compromettere la salita. E psicologicamente ho un po’ vacillato, mi scocciava tantissimo essere arrivato in semi lì ad Umago mentre giocavo benissimo ed essere stato costretto al ritiro contro Lajovic. Oltretutto sarei stato Special Exempt nel 500 di Amburgo, andandomi a giocare le mie carte. Per cui dover rinunciare e avere dubbi su quando e come rientrare mi aveva un po’ destabilizzato. Sono stato un mese fermo a pensare e ripensare a quello che sarebbe potuto essere stato e non era accaduto solo per sfortuna. Fu dura accettarlo. Però poi durante il torneo di Barcellona ho ritrovato una condizione fisica buona e di nuovo buone sensazioni vincendo quel titolo e così entrando nella fatidica top 100 ATP. In realtà sono arrivato in Catalogna con due sconfitte al primo turno e prestazioni negative, e devo dire che quel trofeo è stato l’emblema della volontà: desideravo a tutti i costi farcela, avevo una motivazione tremenda, quella di entrare tra i primi 100 del mondo. E infatti è stato più il cuore rispetto alla tecnica a farmi andare avanti partita per partita fino alla finale vittoriosa contro Kovalik.”


I giovani che avanzano
“Sinner e Alcaraz, i due golden boy, sono diversi. Sinner è un gran colpitore, impatta benissimo diritto, rovescio, servizio anche se è dalla parte del rovescio che i suoi colpi sono più naturali. Alcaraz è un po’ meno forte fisicamente, e utilizza le sue armi in modo molto intelligente. Mi ricordo, quando ci ho giocato, che se non rispondevo bene e profondo al suo servizio, lui subito mi pressava con la seconda palla e cominciava a farmi correre. Come anche Sinner che ha Piatti e il suo staff, anche Alcaraz Garfia è seguito da un team di tutto rilievo: c’è Juan Carlos Ferrero che è una garanzia e che alla fine del match che abbiamo giocato è venuto da me e mi ha chiesto cosa ne pensassi del suo allievo. Per altro ora anche lo spagnolo comincia a girare con 3 o 4 persone, ha il suo preparatore fisico sempre a seguito, il fisio personale, insomma sta investendo tanto su sè stesso. Chi mi piace anche molto e può fare molto bene è l’altro spagnolo Davidovich Fokina, un altro che gioca bene a tennis ed è un toro fisicamente: per me l’anno prossimo o nel 2022 esploderà.”
Il mio futuro
“Ho già fatto molti passi avanti con l’atteggiamento, col diritto e col servizio, ma se c’è qualcosa che vorrei migliorare presto è la percentuale della prima di servizio e giocare delle prime di servizio buone quando serve: ad esempio nella partita del Challenger di Indian Wells contro Kwiatkowski ho avuto il 40% di prime messe in campo, in una partita che ho giocato per il resto bene nel mio standard. Poi con Paolo stiamo lavorando sempre sul piano dell’atteggiamento.”
Alessandro Zijno