Parla l’ex top 100 Stefano Galvani in un revival della sua carriera

Stefano Galvani ha raccontato dei suoi match (vinti) con Nadal, dell’incidente che ha rischiato di interrompere anzitempo la sua carriera oltre a tanti aneddoti del circuito Atp nel decennio 2000-2010.

Maestro Nazionale F.I.T. – Ex giocatore ATP n.99. Nato a Padova il 03/06/1977. Fin da piccolo ha praticato diversi sport in particolare tennis, calcio e basket. Come giocatore le sue doti migliori erano il tempo sulla palla (anticipo), risposta e velocità negli spostamenti. Da allenatore crede in 3 cose che sono fondamentali se si vogliono ottenere dei buoni risultati:
Passione
Impegno
Perseveranza nella ricerca dei propri obiettivi.
Con questi presupposti anche ciò che sembra impossibile diventa possibile!

Biografia
Stefano ha iniziato a giocare a tennis all’età di 6 anni.
Nel 1990 ha vinto i Giochi della Gioventù nazionali ed è stato anche negli anni seguenti tra i più forti in Italia della sua categoria.
Nel 1999 ha deciso di provare la carriera da professionista trasferendosi a Roma per allenarsi a tempo pieno.
Nel 2000 diventa Campione Italiano Assoluto e vince anche il campionato italiano a squadre con il CRB Bologna.
Nel 2001, convocato in Nazionale, vince la Coppa Europa.
Nel 2001 e nel 2002 viene convocato come singolarista in Coppa Davis, gioca 3 partite vincendone 2.
Nel 2003 purtroppo un incidente ad un occhio lo tiene lontano dai campi per 14 mesi ed è costretto a ricostruirsi la classifica partendo da zero.
Nel 2006 e 2007 grazie a delle belle vittorie nei tornei challenger, del Foro Italico, Roland Garros e Wimbledon diventa numero 99 al mondo.
In carriera ha vinto 21 tornei in singolare e 12 in doppio.
Stefano si è ritirato dall’attività professionistica nel 2012.
Ricordiamo solo alcune vittorie prestigiose della sua carriera:
Kafelnikov, Rudeski, Nadal, Davidenko, Schuettler, Bjorkman, Feliciano Lopez, Soderling, Novak, Karlovic, Hrbaty (tutti giocatori nei primi posti in classifica mondiale).

Ecco le parole di Stefano Galvani raccolte da Alessandro Nizegorodcew per Sportface.it. Qui il link

“In questo momento di isolamento coatto mi trovo a San Marino dove vivo da diversi anni ormai. Cerchiamo di impegnare il tempo in modo utile e divertente per cui mi sono dato alla pittura delle pareti per rimodernare un po’ e gioco con le mie bambine. Ho iniziato da ragazzino per divertirmi come tutti, poi visto che ero bravino mi sono trasferito a Roma agli ordini di Giampaolo Coppo anche se prima avevo avuto quasi voglia di smettere. Ai miei tempi, parliamo di anni 90 e 2000 esistevano i tornei satellite, che permettevano di entrare nel torneo finale e che ci obbligavano a stare 4 settimane nello stesso posto a giocare senza la sicurezza di prendere punti. Era più complicato sul piano organizzativo e anche di costi rispetto ad adesso. Oggi ci sono i resort come quelli in Tunisia, Egitto, Turchia che organizzano tornei ogni settimana dell’anno e quindi un tennista a costi più bassi può decidere di fare 1 o 2 tornei e poi di tornare a casa oppure di fare 8 settimane di fila con spese di trasferimento abbassate. Ma anche oggi alla fine le spese sono così alte che è difficile per tutti. Il periodo nel circuito Satellite però mi ha aiutato molto a crescere. Ho avuto tante traversie ma alla fine sono felice della mia carriera. Il primo momento duro fu quando dovetti rinunciare a Wimbledon perché facevo il servizio militare e non mi diedero il permesso. Ero incavolato come una bestia. Ero 240 del mondo e poteva essere una grande occasione, però poi mi sono rifatto.

Nel 2001 ho giocato il mio primo Slam in Australia, poi a Parigi mi è capitato subito Roger Federer, che era il numero 7 del mondo. Giocavo al campo 17 con le tribune grandi, e sinceramente aveva un atteggiamento quantomeno strano. Sembrava che non si impegnasse, ed era difficile giocare contro di lui perché ti metteva in soggezione. Era un altro Federer rispetto ad oggi come atteggiamento, e si vedeva che aveva una facilità di gioco impressionante. La cosa divertente è che il giorno prima ero al ristorante ed ho incontrato Corrado Barazzutti che mi fa “dai è andato bene il sorteggio, Federer su terra è giocabile.” Probabilmente voleva tirarmi su il morale. Chi invece ho battuto per ben 2 volte è Rafa Nadal, anche se lui era agli inizi della carriera. La prima volta fu a Siviglia, mi era toccato al secondo turno questo ragazzino spagnolo che aveva 14 anni: Ramirez Hidalgo, il forte tennista iberico, mi mise in guardia, avvertendomi che era giovane ma già tostissimo e lo battei al terzo set dopo una battaglia. La seconda volta a Barcellona, in un torneo dove ero davvero in stato di grazia e battei anche Kafelnikov e Ljubicic, un momento della mia carriera che ovviamente mi resta orgogliosamente nel cuore. Rafa è stato sfigato in fondo, mi ha beccato nei due tornei in cui ho espresso il mio miglior tennis. Un aneddoto divertente su Rafa è questo: prima del match nel riscaldamento si presenta con dei bolidi, bum, bum, il suo diritto pesantissimo e io rispondo colpo su colpo. Scambiamo a 200 all’ora per tre o quattro colpi a testa e poi io gli faccio il punto. Eravamo solo nel riscaldamento, caspita. E poi gli dico “ora possiamo cominciare a riscaldarci?”. Questo era Nadal già a 15 anni, a dimostrazione dell’intensità con cui approccia qualsiasi cosa riguardi il suo tennis. Mi piacerebbe chiedere a Rafa se si ricorda questa scena, per altro il mio allenatore Giampaolo Coppo rideva di gusto nel vederla dal vivo. Mi è capitato anche di affrontare Dominic Thiem, lui aveva 18 anni, e ci giocai in un torneo che poi ho vinto, battendo in finale Struff nel 15mila+H di Vercelli. In quel torneo battei anche Koellerer. La settimana dopo a Padova sorteggio di nuovo “Galvani-Thiem” e lui era disperato di dovermi incontrare di nuovo. La prima settimana non mi era sembrato un fenomeno, nella seconda partita invece lui giocò meglio e si intravedevano delle qualità: servizio già molto buono con la palla che rimbalzava altissima, e colpi che arrivavano pesanti. Il fatto è che non mi dava molto fastidio la sua palla nello scambio, perché io anticipavo tutto e lo mettevo in difficoltà; per altro a quei tempi non si muoveva bene come adesso.

Le mie caratteristiche erano quelle di un tennista dal gioco piatto da entrambi i lati, che faceva dell’anticipo il suo punto di forza e che sapeva giocare un po’ su tutte le superfici. Il mio tipo di gioco dava fastidio a molti, soprattutto terraioli ma anche altri, però aveva il rovescio della medaglia. Per giocare al massimo dovevo stare bene fisicamente, non avere acciacchi perché il mio tennis non mi perdonava nulla, avevo pochissimi margini. E per ovvi motivi nn potevano essere tantissime le settimane in cui ero al top. Con alcuni dolori e col mio gioco rischioso ci dovevo convivere. Ancora oggi quando gioco con i più giovani mi rendo contro che non sono abituati al mio modello di gioco. Ho avuto in sostanza due vite tennistiche, prima e dopo il brutto incidente del 2003. Stavo per partire per l’India alla ricerca di punti buoni per entrare nel main draw dello Slam australiano, ed ero di poco fuori dalla top 100, quando feci questo incidente in macchina tremendo dove mi tagliai di netto l’occhio sinistro, e la cornea si ruppe. Andai subito al Pronto Soccorso: il medico parlava ma io ero sotto shock e pensavo di poter giocare a brevissimo. Alla fine i medici parlavano di salvare l’occhio, altro che riprendere a giocare. Alla parola “trapianto” mi resi conto davvero e la convalescenza durò ben 14 mesi, però io non ho mai pensato di smettere col tennis, nonostante i medici fossero pessimisti. I miei genitori, la mia ragazza, la famiglia insomma mi è stata molto vicino e mi ha aiutato molto, così ha aiutato il mio atteggiamento e dopo 3 interventi ripresi. Il problema è che non potevo allenarmi come si deve perché addominali, lavoro sulla forza, fatiche particolari non potevo farne, per non appesantire la pressione dell’occhio. E poi non ci vedevo più bene come prima. Uno dei primi giorni di allenamento quando tornai ero a Perugia con Coach Alberto Castellani e il mio compagno di allenamento Claudio Grasis mi lancia la palla…e la liscio completamente, arriva la seconda palla, lisciata di nuovo. Insomma ci ho messo un po’ di tempo per abituarmi alla nuova visione, e per fortuna poi ci sono riuscito anche se i primi tempi dopo un’ora di allenamento ero esausto perché avevo bisogno di una concentrazione totale per poter colpire bene.

Uno dei miei tornei preferiti era Wimbledon, perché la mia palla rimbalzava pochissimo e gli avversari faticavano a spingerla e tirarla su allo stesso momento. Rimpianti particolari non ne ho, in realtà nella prima parte della carriera forse mi mancava un po’ di esperienza su come gestirmi, per i giovani spesso è così. Nella seconda parte, dopo l’incidente, invece la “testa” (intesa come massimo impegno) c’era, ma il corpo chiedeva il conto. Alla fine i miei migliori risultati li ho fatti quando ho avuto i miglioramenti sul piano mentale, perchè l’incidente mi ha reso più consapevole e determinato: nonostante la sera non potessi praticamente giocare che vedevo poco, nonostante indoor avessi difficoltà e le lenti a contatto mi creavano disagi inenarrabili, beh comunque riuscii laddove non ero riuscito fino a quel momento a dimostrazione che poi l’aspetto mentale è prevalente su tutto se uno ha basi tecniche, tattiche e atletiche all’altezza. L’emozione di giocare per la Nazionale è qualcosa di unico: è una responsabilità e quindi ci metti tantissimo impegno, però poi la pressione può anche frenarti. E’ molto difficile sul piano emotivo, soprattutto le prime volte. La partita che ricordo con più pathos, quella che mi rimane è la vittoria su Kafelnikov a Barcellona: ricordo che l’avevamo preparata benissimo con Giampaolo Coppo, lui mi aveva detto dove e come avrebbe tirato Kafelinikov. La cosa che mi colpiva del russo è che faceva cose semplici ma le faceva così bene che ti spaventava. Però in quella settimana ero davvero a mille, mi riusciva tutto e lo battei regalandomi una soddisfazione enorme. Era numero 1 al mondo non per caso. La seconda che mi viene in mente è la gara con Youznhy a Wimbledon: giocavo al campo 2, quello rimasto famoso perché qualcuno lo definì “il cimitero dei campioni” perché l’erba lo rendeva più veloce e col rimbalzo ancora più basso. Era il mio campo preferito. Poi mi ricordo un episodio di una partita persa a Roma con Rusedski, ci avevo vinto la partita precedente e lui a Roma non si trovava bene per cui la vivevo come una occasione enorme di passare il turno contro comunque un giocatore fortissimo ma non nelle migliori condizioni per lui. Ad un certo punto uno spettatore in dialetto romano gridò:” Daje Galvà, è la tua occasione!”. Io ero già un po’ irrigidito dalla tensione, figuriamoci dopo. Mi sentii ancora più teso e alla fine persi l’incontro. E’ significativo sottolineare che le partite che noi tennisti ricordiamo meglio non sono legate al risultato ma alle emozioni. Sono le emozioni la cosa più importante e dobbiamo spiegarlo ai ragazzi. Se dovessi dare un consiglio a chi si affaccia al tennis agonistico di alto livello mi rifarei alle parole che una volta ho sentito pronunciare da Ivan Lendl: La prima cosa che devi imparare è imparare a perdere. A me da ragazzo nn l’hanno mai insegnato, almeno nella maniera costruttiva. Soprattutto per i più giovani è difficile resistere alle difficoltà e finchè vincono sono felici, quando cominciano a perdere (e tutti perdono) finiscono col demotivarsi. In questo momento faccio il Maestro al TC Valmarecchia, in provincia di Rimini ma da Giungo comincerò a lavorare per la Federazione di San Marino.
Alessandro Zijno