Vincenzo Santopadre: “Matteo Berrettini, un progetto a lungo termine”

Vincenzo Santopadre ha preso a 14 anni il suo pupillo Matteo Berrettini e racconta come lo ha portato dal nulla al numero 56 del mondo.

In occasione del Symposium del GPTCA Vincenzo Santopadre, invitato come relatore ha raccontato la sua esperienza nella crescita di Matteo Berrettini, il ragazzo giovane che più di tutti si sta mettendo in evidenza nel circuito, entrando nei tabelloni dei principali tornei e mostrando grande competitività anche a grandissimi livelli. Ciò che Coach Santopadre ha voluto subito evidenziare è stato il concetto del “lungo termine”. Per lungo termine non si intende solo l’avere la necessaria pazienza, ma lavorare quotidianamente su gesti, movimenti, accorgimenti, competenze motorie ed emozionali, che potrebbero avere applicazione nel futuro sviluppo del ragazzo. Per essere più chiari ad esempio, il lavoro sul servizio di Matteo è stato fin da subito uno degli obiettivi, avendo Santopadre intuito lo sviluppo atletico del ragazzo e la sua attitudine per quel fondamentale. L’attenzione, tuttavia, è stata fin dall’inizio dedicata sia alla crescita umana del ragazzo, sia a quella tecnico-tattica-atletica. L’etica del lavoro, del rispetto di se stesso, del coach, dei compagni d’allenamento, erano già dentro a Matteo grazie ad una famiglia con basi solide, e sono state rinforzate da Santopadre, all’interno di un contesto positivo e propositivo, che rappresenta un altro punto importante nella costruzione di un campione dentro e fuori dal campo. Un altro concetto basilare è stato quello della programmazione dell’allenamento: a 14 anni Matteo non era senz’altro pronto per carichi di lavoro pesanti, né atleticamente perché era una scricciolo, né psicologicamente perché ancora immerso appieno negli studi in cui eccelleva. Questo se da una parte gli ha rallentato il raggiungimento di risultati all’inizio, lo ha reso però un ragazzo più sicuro delle sue scelte, più consapevole ed ha accelerato il raggiungimento di una coscienza di sé e di una maturità importante fuori dal campo. Maturità che troviamo adesso pian piano portare anche all’interno del campo di gara. Non è un caso e anzi, è proprio il frutto del lavoro quotidiano sulla crescita personale di Matteo sapientemente portato avanti da Santopadre, che gli infortuni patiti finora in carriera siano stati vissuti anche come una opportunità. Badate bene che non è banale questo concetto. L’infortunio più o meno grave è spesso per un atleta una situazione al limite del dramma, se non affrontato con maturità ed equilibrio. Sorgono dubbi, paure, perplessità, si rischia di fermare il progetto di crescita, invece ad esempio Matteo fu disponibilissimo a lavorare sul back di rovescio quando il polso sinistro ebbe qualche problema. Ed ora è un’arma che spesso usa tatticamente. E anche qui va sottolineata l’importanza di essere cresciuto in un circolo come l’Aniene, dove esiste molta cultura sportiva di respiro internazionale e soprattutto una famiglia che vive lo sport in maniera sana: il papà Luca è un praticante di buon livello, conosce i sacrifici che bisogna fare per arrivare in alto, e sa bene che l’impegno massimale è condizione necessaria per emergere ma che perfino la più forte energia può non bastare e non sarebbe stato un dramma se Matteo (e ora il più giovane fratello Jacopo) non fosse arrivato ai livelli in cui si trova. In questa famiglia, e con Vincenzo Santopadre al timone, il concetto di “godersi la strada” e non solo il traguardo è qualcosa di tangibile, vissuto e non solo propagandato come capita sovente.
Ad un certo punto tuttavia Santopadre si è accorto che i progressi erano così evidenti e il ragazzo diventava tanto competitivo che il concetto di STAFF diventava predominante. Possedendo già delle skills importanti, Santopadre ha provveduto a incastrare il “puzzle Matteo” con l’ausilio di un Team di lavoro che col tempo è divenuto sempre più granitico e decisivo. Non ultimo l’ingresso qualche anno fa di Umberto Rianna, responsabile FIT per gli over 18, e soprattutto conoscitore sopraffino delle dinamiche tecniche, tattiche ed emotive dei tennisti che frequentano il circuito internazionale. Ciò che Vincenzo Santopadre tiene a sottolineare è che tutti gli aspetti vanno curati, su questo non c’è dubbio, eppure bisogna saper investire bene le energie, il tempo, le attenzioni sui vari aspetti. La cura del servizio ad esempio, quasi maniacale, non va a discapito degli altri aspetti, ma sicuramente ha rivestito un ruolo importante nel paniere degli investimenti di tempo/energia scelti da Santopadre. E il lavoro condiviso nei minimi dettagli con tutto il resto del Team, dal preparatore fisico a quello mentale, proseguendo con il manager, finisce per diventare un elemento fondamentale per una crescita equilibrata. Per spiegare meglio: se in un periodo si lavora sul servizio e sulla sue sensazioni in particolar modo, anche le catene cinetiche specifiche saranno curate dal preparatore fisico, che conosce gli obiettivi, e anche il lavoro mentale sarà su quel tipo di percezioni.


LA CONOSCENZA DELL’ATLETA
Un altro punto focale è la conoscenza profonda del ragazzo con cui si lavora, spiega Vincenzo Santopadre. Il coach romano racconta di come lui ami variare l’allenamento, renderlo creativo, cambiare spesso esercitazione per dare stimoli diversi all’atleta, e anche fargli provare sensazioni differenti da un momento all’altro. Del resto in performance le situazioni cambiano di continuo, sia a livello tecnico che tattico o emozionale. Con Matteo funziona, mentre altri ragazzi capita che preferiscano ripetere spesso le stesse cose e sentano questa necessità. E’ il caso ad esempio di Volandri, il quale come raccontato da Fanucci, il suo coach a Santopadre stesso in un momento di confronto sui modelli di training, preferiva una routine di allenamento molto ordinata o ripetitiva. In ogni caso la parte del divertimento è sempre da ricercare.

La costruzione tecnica di Berrettini e il vero obiettivo: autonomia
Premettendo che non c’è costruzione tecnica dei colpi senza la crescita umana di cui sopra e senza una capacità percettiva e ricettiva dell’atleta, Vincenzo ha cominciato ad analizzare i colpi di Matteo, rendendosi conto fin da subito della facilità del diritto e del servizio. “La volee era altalenante e il rovescio era meno buono di sicuro. L’esecuzione del diritto di Matteo era di natura personale, con un movimento apparentemente forse troppo lungo, però la palla viaggiava: perché cambiarlo? Semmai aggiustarlo per certe situazioni. Tuttora pur mantenendo questo ampio movimento Matteo trova il suo punto d’impatto in tempo, e si adatta anche all’alta velocità della palla avversaria senza troppi problemi. Sul rovescio ci si lavora da anni, come detto anche nel back, per renderlo positivo e poter ribaltare se possibile anche l’inerzia dello scambio senza perdere campo, magari con scelte tattiche indovinate. Pur continuando ad allenare tutto, come detto prima, oggi la concentrazione è anche sull’aggressività del diritto, per “entrare” e bucare il prima possibile la difesa avversaria. L’obiettivo è far sentire “a casa”, quindi in fiducia, Matteo in ogni situazione per sfruttare l’arma del servizio che resta ovviamente il suo punto di forza. Anche sul servizio per dire, stiamo lavorando non solo sulla velocità di palla, ma sulle variazioni, sulla capacità di capire il momento, di sorprendere la risposta dell’avversario. Più si sale di livello, più dettagli vanno curati, non solo tirare a 220 all’ora. Anche su questo punto guardate quanto è importante l’etica del lavoro che si è sviluppata nel ragazzo: Matteo non teme i cambiamenti, si adatta, è curioso, in questo è un allievo ideale. Più passa il tempo più lui ci dà feedback per poter a nostra volta lavorare meglio, è uno scambio continuo, e questo è possibile sia perché si è costruita una fiducia reciproca, sia perché il ragazzo sa riconoscere le proprie emozioni, sensazioni, difficoltà, paure ed esternarle senza il timore di essere giudicato. In fondo il reale obiettivo di ogni Coach è quello di rendere autonomo il proprio allievo, capace di essere ogni giorno migliore del precedente senza interventi estrogeni forzati o indotti. Ovvio che il coach abbia la sua importante funzione, così come ogni figura professionale che abbiamo inserito nel progetto, ma è dal ragazzo che pian piano stan partendo gli input di lavoro, e questo mi rende ottimista anche per il futuro.”


La fisicità di Berrettini.
Fisicamente era una larva”, scherza Vincenzo Santopadre. Però è vero, ai test a Tirrenia di qualche anno fa Matteo era sempre tra gli ultimi. “A 16 anni era solo il più alto, per il resto non eccelleva. Il nostro preparatore atletico è stato di una lungimiranza eccezionale. Ha pensato di lavorare sulla resistenza, visto che Matteo non riusciva a sopportare carichi elevati. E siamo andati avanti così per lungo tempo. E’ stata una scelta, una delle tante che si sono rivelate azzeccate. Pensate che solo relativamente da poco tempo stiamo lavorando su esplosività e velocità in maniera più massiva. Con atleti di alta performance basta fare un piccolo errore di programmazione per fare danni, ci vuole intuizione, e anche un pizzico di fortuna.”
Berrettini Tattico
“Ciò su cui ho insistito tanto” dice il coach “è il tentare di costruire un giocatore, non un colpitore di palle. Ogni palla non solo è diversa dalle altre e va colpita in un certo modo, ma quel modo è determinato dal contesto tattico, dalla posizione dell’avversario, dal punteggio, dall’energia che si ha dentro e da quello che ci sta comunicando il nostro avversario. Per dire a volte può essere utile giocare sul colpo forte dell’avversario, altre volte sul lato debole, può essere utile variare il ritmo, e questo cambia di momento in momento. E non può essere il coach a consigliarlo lì per lì, perché non ce n’è certo il tempo, ma deve essere intelligente in questo senso il ragazzo a valutare il momento. Questo intendo per “giocatore”. Solo il servizio in realtà va visto come colpo da forzare al massimo, ma nel senso di cercare subito di avvantaggiarsi nell’inerzia dello scambio o fare punto diretto. Da un certo livello in poi le armi a disposizione dei tennisti che girano il circuito sono tutte atomiche: chi sa riconoscere i momenti del match e indirizzarli a proprio favore alla fine sale in classifica. Poi c’è la modulazione dell’energia, qualcosa che Matteo ora sta riuscendo a fare meglio. A volte lui ha bisogno di caricarsi e per questo mi è capitato di chiedergli di caricarsi ad ogni punto, proprio per evitare il rischio di un calo di attenzione o concentrazione.”


Jacopo Berrettini
“Ora anche il fratello Jacopo sta ottenendo qualche buon risultato. Gli ho affiancato Flavio Cipolla che sono anni che si capisce che sarà un signor allenatore. I principi che adottiamo sono gli stessi usati per Matteo, in corso d’opera valuteremo le circostanze e l’obiettivo è sempre quello di costruire un giocatore pensante.”
L’allenatore.
“Ci sono degli aspetti che in genere accomunano i grandi allenatori. Il primo è la coerenza. Non posso chiedere qualcosa ad un mio giocatore se io per primo non sono un esempio. Poi c’è la capacità di mettersi in discussione. Capire dai propri sbagli, saper aggiustare il tiro, non essere troppo rigido. Considerazione dell’interesse dell’atleta: qualsiasi azione deve tendere ad un vantaggio reale per l’atleta, lui è il protagonista, lui scende in campo, lui va in battaglia, noi si sta qui ad affilare le armi. Comunicazione con l’atleta: è un aspetto davvero importante, perché se c’è un corto circuito nella comunicazione questo finisce con l’annullare o quasi tutto il lavoro. Bisogna anche considerare che il profilo comunicativo o ricettivo dell’atleta poi cambia col passare degli anni, ora per dire Matteo è certo più maturo di quando aveva 17 anni, è sempre stato razionale e pacato, ma adesso possiede anche altri strumenti culturali e il livello dei discorsi deve tenerne conto. I ragazzi per fortuna sviluppano quella consapevolezza che da un certo punto di vista aiuta la comunicazione, ma se il coach non si adatta può anche creare malintesi tutto questo.”


L’aspetto mentale.
“Come detto uno degli obiettivi non è solo la prestazione in campo, ma rendere l’allievo il coach di se stesso. Per fare questo prima si comincia a lavorare con i ragazzi meglio è. Io ho focalizzato l’attenzione su qualche punto, tipo la gestione delle difficoltà: crescere attraverso gli ostacoli che si pongono di fronte e in questo Matteo è stato molto ricettivo. Un altro tema è l’accettazione della frustrazione: si pensi a quando si lavora su un gesto tecnico, magari per diverse settimane, ma non si trovano le sensazioni giuste e si torna al vecchio movimento. Qualche atleta può viverlo come un fallimento, ma fa parte della crescita. O magari quei periodi con pochi risultati o difficoltà nella performance. Un terzo elemento è la ricerca delle soluzioni. C’è un problema? Come si può risolvere o arginare? Una volta che con un ragazzo si riescono a creare queste dinamiche positive, poi te le ritrovi sia in campo per gestire i momenti del match, sia fuori dal campo per trovare quelle motivazioni che giustifichino i grandi sacrifici che un professionista deve fare.”


La Practice
“Non entro in campo con un programma stabilito, ho delle idee, delle linee guida, so su cosa voglio lavorare con Matteo e mi pongo un focus. Può essere tecnico o tattico, a seconda della situazione. Sicuramente nello strutturare un modello di allenamento, nulla può essere trascurato. Bisogna lavorare su tutto. Molta importanza la do all’attenzione. Uno dei miei Maestri, il prof. Coppo, sostiene che ci si deve porre un obiettivo alla volta. Quindi se in una determinata esercitazione chiedo a Matteo di concentrare la propria attenzione sugli appoggi, è su quel determinato aspetto che gli chiedo un feedback. Poi per il discorso di prima sul variare, magari cambio stimolo e si prova a “sentire” un altro movimento. Per il concetto di divertimento mi piace fare partite a tema, con obiettivi sempre diversi. E per giocare con le sensazioni si può cominciare l’allenamento con le palle MID, ad esempio. In questo periodo ad esempio stiamo lavorando per trovare i tempi e gli spazi giusti per cercare la rete: non è solo una questione di tirare forte, è più un fatto di sentirsi a proprio agio con un certo tipo di aggressività e automatizzare i movimenti per anticipare il più possibile le esecuzioni.”

La Programmazione dei tornei.
Ultimo ma non meno importante è lo studio della programmazione dei tornei da giocare. Una volta costruite le basi e raggiunto un certo livello di gioco in ogni team di lavoro con un professionista giunge il momento di programmare la stagione della competizione. Quali tornei giocare? Santopadre ci racconta delle scelte fatte per Matteo Berrettini: “Abbiamo sempre dato molta importanza alla selezione dei tornei da disputare. E’ un tema centrale. E anche questo con un ragazzo giovane va gestita guardando all’orizzonte. E’ ancora il concetto di lungo termine che mi ha guidato con Matteo. A 19 anni pur essendo molto più performante in quel momento sulla terra, abbiamo scelto di giocare il 66% dei tornei sul cemento. Abbiamo barattato qualche vittoria in più che avremmo ottenuto sul rosso al momento, con lo sviluppo di una consapevolezza e di una abitudine importanti sul duro che per i motivi espressi sopra possono rappresentare una risorsa da adesso in poi.”


Attualmente Vincenzo Santopadre allena Matteo Berrettini alla Rome Tennis Academy nata da una idea sua e di Stefano Cobolli, una struttura d’avanguardia nel panorama tennistico italiano.
Ora Matteo può provare a toccare le stelle e arrivare a prenderle.

Alessandro Zijno