Gianluca Di Nicola, testa d’acciaio e cuore d’oro

Gianluca Di Nicola è uno dei ragazzi più interessanti della generazione 1995, attualmente numero 676 delle classifiche ATP, con un best ranking al numero 522 datato aprile 2018. E’ uno dei ragazzi più umili e simpatici del circuito, è seguito da papà Italo, che lo ha costruito molto bene, e la Federazione lo segue da vicino nel Progetto Over 18 supervisionato, diretto e coordinato da Coach Umberto Rianna che per questo ragazzo stravede. Sicuramente il coach Rianna, cresciuto professionalmente nell’Accademia di Bollettieri e poi affermatosi seguendo tra gli altri Potito Starace, ha notato doti umane particolari e speciali in questo ragazzo. Fisicamente è un treno e a Tirrenia è sempre stato tra i primi nei test atletici. Disponibile al sacrificio, viene da una famiglia unita e abituata al lavoro, è allegro e aperto, e fa anche gruppo. Su molti aspetti deve ancora lavorare sodo per raggiungere il suo massimo potenziale, e si impegna per questo, ama giocare, lo fa con gioia ed è una base di partenza importante. Ha finora vinto un solo torneo ITF Futures, a Frascati nel 2016 ed ha molti margini di miglioramento. Certamente le nuove regole del Transition Tour sono penalizzanti per chi sta nella sua posizione di classifica e questo rischia di frenare un po’ tutti i nostri giovani talenti in ascesa.
Partiamo dal presente. Cosa pensi delle nuove regole del Transition Tour che diminuirà il numero di tennisti pro a circa 750?
“Che è una scelta rischiosa. Si rischia che tanti ragazzi smettano, o alla fine continueranno solo quelli sponsorizzati dalle federazioni o con possibilità economiche importanti.”
Negli ultimi Challenger non sei stato molto fortunato, sorteggi difficili e partite perse per un soffio. Che momento è questo?
“A Vicenza ho pescato Davidovich Fokina che tra poco sarà top 100, a L’aquila ho fatto tre turni di quali e all’ultimo ho perso da Bonadio che ha giocato benissimo, poi a Perugia ho trovato Ulises Blanch, un americano che ha imbroccato la settimana della vita e è andato fino in finale partendo dalle quali. Con De Greef a Como ho lottato fino alla fine. E’ un momento particolare, in cui alla amarezza per qualche risultato in meno rispetto allo scorso anno si aggiunge la voglia di guardarmi dentro e trovare quelle motivazioni ancora più forti e profonde per affrontare le difficoltà che la vita del PRO ti pone innanzi.”
Quindi, programmazione e progetti?
“Comincio dal dirti che ho cambiato preparatore da un po’ e con Angelo Di Mattia stiamo lavorando a 360 gradi per mettere a punto il mio corpo, del resto la parte fisica è come la macchina in formula 1, decisamente importante curare ogni dettaglio e con Angelo ci stiamo impegnando per questo. Tra l’altro mi aiuta molto frequentare la palestra A.S.D. Fiorletta Boxe di Ivan Fiorletta, che è il mio Maestro di Pugilato, ex campione europeo, con il quale mi diverto oltre a trovare nuove competenze motorie ottime per un sport come il tennis dove diverse catene cinetiche occorrono per far funzionare i colpi. Come programmazione ora faccio qualche Open, ne ho appena vinto uno a Chieti battendo gente come Campo, Licciardi, poi Giacalone in rimonta in finale. Del resto dobbiamo dirlo, l’attività internazionale ha un costo sia in termini economici puri sia in quelli delle energie psicofisiche. Ok girare il circuito, tuttavia va fatto nelle condizioni giuste, non tanto per farlo. Ora ricarico le pile a breve termine, e deciderò con mio papà che tornei affrontare in autunno.”
Come hai cominciato a giocare a tennis?
“Mio papà, che è stato un bravo calciatore, voleva che facessimo sport io e mia sorella Alessandra che è del ‘92, per un periodo ho anche giocato a calcio, poi piano piano mi sono appassionato al tennis ed eccomi qui. Siamo sempre stati come base al CT Avezzano, sono cresciuto lì, molto spesso sul sintetico. Papà riesce a seguirmi dividendosi tra me e il suo lavoro, fa il rappresentante.”


Papà Italo, che è il tuo coach ed è una persona assai intelligente, ti ha portato fin qui: me la dici una sua caratteristica che ti fa arrabbiare?
Innanzitutto debbo proprio ringraziarlo, perché senza di lui non ce l’avrei mai fatta. Ogni tanto abbiamo idee divergenti, è chiaro, possiamo anche discutere ma lui è mio papà e se dice una cosa io so che la dice per me. Però ti confesso che a volte lo sento troppo esigente, o troppo critico. E’ sempre una critica costruttiva, questo io lo so. Lui è un perfezionista. Ciò che è importante è che io sento davvero che tutte le scelte condivise con mio papà, so che sono fatte davvero per il mio bene. Questo è il grande vantaggio di lavorare con i papà, non hai mai il dubbio che lui possa fare qualcosa per il suo tornaconto. Papà Italo ci sarà sempre accanto a me, abbiamo passato mille difficoltà insieme, io e lui a lottare a volte contro un sacco di imprevisti. Siamo cresciuti insieme.”
Hai fatto tutta la trafila da Junior? Eri già bravino?
“Sì, ho fatto tutte le categorie, più o meno emergevo a livello regionale già da U8 e da U10. Come scuola tennis facevo le classiche 3 volte a settimana, ma poi il week end mi allenavo con papà, sabato e domenica passavo le ore sul campo, era un divertimento puro, nulla da pretendere, ora mi riposo un po’ di più se posso il sabato o la domenica.”
E’ vero che facevi tanto muro?
“Verissimo! Mi divertivo come un matto, facevo finta che ci fossero due campioni a giocare, facevo gli slam o tornei inventati, ci stavo delle ore. E il muro serve tantissimo, tic tac, tic tac, è un allenamento pazzesco.”
Quando hai capito che stavi diventando forte?
“A 12 e 13 anni già me la giocavo con i più forti, come Donati o Napolitano, facevo parte di quel gruppo lì ecco, loro erano ancora più forti forse, vinsero tutto in seguito a livello giovanile, ma io stavo vicino come livello e quindi prendevo fiducia.”
C’è qualcuno che ricordava te a quell’epoca?
“Da noi ad Avezzano si allena un ragazzino, è bravo, si chiama Gianmarco Cerasari e come me è molto umile e ci sa fare con la racchetta. Ma poi ognuno deve fare il proprio percorso di crescita, c’è chi arriva prima e chi dopo, la cosa fondamentale è l’impegno e la costanza.”
Ricordi il tuo primo punto ATP?
“Me lo ricordo eccome. Eravamo ad Appiano, era un po’ che andavo vicino a prendere punti, nel 2012, ci andavo vicino poi non raggiungevo mai la meta, finalmente superai due turni di quali e affrontai Matteo Volante battendolo anche se sul match point ho rotto le corde e avevo finito le racchette, dovendo così giocare con una che non avevo mai tenuto in mano prima. Me la feci prestare da non ricordo chi. Al turno successivo trovai il serbo Ciric, un gigante, e andai fuori. Fui contentissimo e lo vidi come un segno del destino visto che Andreas Seppi aveva preso il suo primo punto proprio ad Appiano, a 16 anni come me.”


Quali sono i tuoi obiettivi?
“L’obiettivo è quello di ogni tennista in fondo, diventare PRO e guadagnare col tennis, cioè Top 100. Per ottenere questo ambizioso traguardo bisogna però accettare di fare passo dopo passo, di migliorarsi continuamente. Stiamo lavorando sulla pesantezza di palla, cercando di sporcare le traiettorie, variare, adattarmi alle situazioni e soprattutto ottenere più aggressività. In particolare per l’aggressività sto facendo anche qualcosa di pugilato, è uno sport che allena al combattimento ovviamente e costringe ad essere sempre reattivi, pronti, dinamici e anche “cattivi”, sportivamente parlando, in più ti porta ad affrontare le paure, quelle innate, irrazionali, tirando fuori l’istinto primordiale della sopravvivenza. Poi lavoro sul servizio, dove ora unisco i piedi, mentre prima il destro era bloccato, per imprimere più peso. Per la programmazione adesso farò alcuni Open, del resto servono sia per guadagnare qualcosina da poter investire, sia per prendere fiducia e poi decidiamo con mio padre quali tornei affrontare.”
Come ti definiresti?
“Vado ancora troppo a giornate per potermi definire. Un mio modello è Djokovic, a volte sono difensivo, a volte più aggressivo, a volte altro ancora. Non c’è una definizione in cui rinchiudermi.”
Tu fisicamente sei un treno, appari sempre in ottima condizione atletica, c’è un segreto?
“Di famiglia siamo già tutti così. Mio papà ha un bel fisico, quando giocava a calcio era ovviamente più muscoloso, ma tuttora si mantiene bene. Ho una bella fibra. Un ringraziamento va comunque ad Angelo Di Mattia, il mio preparatore atletico, che mi rende ogni giorno più competitivo.”
Come ti trovi a Tirrenia, quando hai l’opportunità di andare?
“Ecco, hai detto bene, è una opportunità. Importante. C’è tutto ciò che può desiderare un tennista Pro a Tirrenia: ci sono i Maestri, i preparatori atletici, e soprattutto ti alleni con i migliori, poi si mangia anche bene, c’è la fisioterapia, davvero tutto. Io mi trovo molto bene con tutti, ma in particolare con Rianna: ha tanta esperienza e guarda anche oltre rispetto alla tecnica o alla strategia, cerca di capire i ragazzi.”
Speri di ricevere qualche Wild Card?
“Beh ovviamente da una parte le wild card sono utili, perché eviti le quali, magari grazie alla FIT riesci a giocare tornei dove non entreresti per la classifica, e questo regala chance ed esperienza. Dall’altra parte però vanno sia meritate e ti dico di più, non vanno subìte, assolutamente vanno vissute il più possibile con naturalezza senza sentire la pressione. A volte può essere difficile questo, allora la wild card diventa un’arma a doppio taglio.”
Che vita fa un tennista pro come te?
“Posso tranquillamente affermare, e te lo avranno confermato tutti i tennisti intervistati, che la vita del tennista è molto dura. Si fa una gavetta assurda, spesso si passano anni tra i Futures, altri anni a livello Challenger, le spese sono tante, si fa solo per vera passione. Poi se arrivi in ATP allora puoi dirti professionista vero. Sennò fai la vita del Pro, ma vedi pochi soldi perché le spese sono alte. Qualcuno deve lasciare la famiglia, la casa, non è scontato che arrivi, non è detto nulla ed ogni giorno ci devi mettere l’impegno massimo. Questo a dire il vero in ogni professione in cui si voglia emergere. Io mi do 4 o 5 anni, sono ancora giovane, poi vedrò.”
E fuori dal campo?
“Io conduco una vita fuori dal campo normalissima. Mentre mi alleno o sto nei tornei la mia attenzione è dedicata al tennis, altrimenti faccio la vita di tutti i miei coetanei, ho amici fuori dal campo, alcuni non sanno nemmeno di tennis, altri mi seguono come tifosi o appassionati, ho un labrador che adoro e si chiama Lucky. Sto spesso ad Avezzano, la mia città, quando non giro per tornei, e mi piace avere un equilibrio.”
Pensi mai alla tua vita futura, cosa farai quando tra tanti anni, smetterai di giocare?
“Mi sento portato per fare l’insegnante. A fine carriera non mi dispiacerebbe fare esperienza da coach. Sto maturando tanta esperienza nel circuito, e ritengo di possedere la giusta miscela tra competenze tecniche specifiche e sensibilità per entrare in empatia con i ragazzi.”
Mi parli della tua alimentazione, di cui sei un piccolo esperto? Essere un tennista pro ti costringe a tenere sotto controllo ciò che mangi?
“Sicuramente sì, ma bisogna approfondire un po’ il tema: ogni sportivo ha un tipo di fisico, io sono esile ed ho un metabolismo accelerato che non mi fa prendere peso, quindi posso anche concedermi qualche piccola trasgressione e il mio corpo non ne risente. Io sono di natura molto goloso, quindi se devo evadere il regime alimentare, lo faccio con un dolce; ovviamente devo stare molto attento, perché mangiando un dolce la sera dopo una gara, il mio corpo resta comunque un po’ intossicato. Io punto molto sugli alimenti di origine vegetale, quindi prevalentemente frutta e verdura, e sono molto attento a bilanciare carboidrati, in maggioranza, e proteine prima dei match. Quindi anche sotto il profilo alimentare le chiamerei rinunce, ma pure in questo caso è una scelta finalizzata e non un effetto collaterale che si subisce: a me piace star bene in campo grazie a come mangio, e di conseguenza anche fuori dal campo. Se cambiando l’alimentazione stai bene, sei contento delle rinunce; se lo stato di salute ti impone di rivoluzionare il rapporto con i pasti, allora la situazione è molto più severa.”
Tattica, Atletica, tecnica, e mental. Dimmi la tua.
“Secondo me a questo livello l’aspetto atletico è fondamentale. Devi stare bene. Gli affido il 60% dell’importanza. Le scelte tattiche o strategiche durante un incontro le metto al secondo posto con un 20%. L’aspetto mentale è ovviamente un fattore ed incide al 15%. L’aspetto tecnico è quello meno importante, perché alla fine qui tutti giocano bene, cambiano le caratteristiche ma san giocare tutti. Quindi direi 5%.”
Ok, era un gioco ovviamente, per semplificare, ma possibile solo il 5%?
“Guarda alcuni campioni. Gente top 20 che ha dei fondamentali non perfetti. O addirittura ha nei fondamentali il tallone d’Achille. Karlovic ad esempio, non è un modello di tecnica. O Mischa Zverev, hai mai notato la sua apertura di diritto? Usa solo il polso. Lo faresti fare ai ragazzini della sat? Eppure sono dei supercampioni. Ecco spiegato il 5% tecnica. Mentre atleticamente stanno tutti al top, al netto di infortuni. Scendi in campo a livello ATP con superatleti. Ecco spiegato il 60% dato all’aspetto atletico.”


Gianluca è un ragazzo di una bontà infinita, molto disponibile, per nulla superficiale pur essendo un ragazzo semplice. Tra l’altro, con personaggi come Nadal e Thiem, o il Coach Rianna fa parte del progetto “Atleti al tuo fianco” del dott. Alberto Tagliapietra, che cerca di dare assistenza psicologica e medica ai malati di cancro. Con Italo, il papà, ho passato più di qualche ora insieme a bordo campo, a volte a vedere gli incontri del figliolo, altre volte a gustarci altre partite. Come papà di atleta (oltre che come coach) è un esempio molto positivo: riesce a comunicare bene da fuori, mandando segnali positivi e feedback che non inquinano le emozioni di Gianluca. E’ qualcosa di estremamente complicato perché come ogni papà che ha un figlio atleta sa bene, basta un sopracciglio alzato perché nostro figlio si inalberi o perda concentrazione. Al contrario Italo è sempre assai equilibrato e Gianluca lo segue con entusiasmo.
Alessandro Zijno