Edoardo Eremin, non solo potenza

Quando nel 1919 il fisico sovietico Lev Sergeevic Termen inventò uno strumento musicale completamente innovativo, il primo in assoluto che non prevedeva alcun contatto fisico dell’esecutore con lo strumento stesso, non pensava che un giorno qualcuno associasse idealmente la sua creazione con il gioco del tennis: il theremin, come venne chiamato poi lo strumento, in onore del suo inventore, è considerato molto difficile da imparare proprio perché si suona senza toccarlo, senza riferimenti visibili o diretti. Allo stesso modo, il campione di cui oggi vi parliamo, Edoardo Eremin, incredibilmente assonante nel suo cognome allo strumento musicale, ha bisogno di grande sensibilità in chi lo guida per esprimere le sue migliori prestazioni e vedendolo giocare al suo massimo livello appare davvero di uno splendore senza precedenti. Nel Theremin si estrinseca il concetto di una musica che è qualcosa da tirare fuori, visto che si suona avvicinando o allontanando le mani da due antenne che compongono lo strumento: sembra di osservare il miracolo di una musica che esce fuori dal nulla, dall’aria, qualcosa di sovrannaturale. Allo stesso modo possiamo tranquillamente affermare che il tennis sia già all’interno di Edoardo Eremin, che ha bisogno solo di tirare fuori questo enorme talento attraverso una delicatezza e una sensibilità quasi artistica.
Edoardo “Dodo” Eremin nasce ad Acqui Terme (sebbene viva da sempre a Cassine), in provincia di Alessandria, il 5 ottobre 1993 da papà Igor, un tennis coach russo e da mamma Paola, italiana. Il suo DNA misto contiene allo stesso tempo la forza del popolo russo e la fantasia latina: un miscuglio fenomenale, esplosivo, che nello sport, come nell’arte, può davvero creare un prototipo vincente. Di questo è sempre stato convinto il suo papà, fin da quando lo inizia al tennis, all’età di 9 anni. Edoardo cresce bene, allenato da suo padre al Match Ball Bra dei fratelli Puci, ottiene risultati fin da subito e pian piano si segnala come uno dei migliori talenti del panorama nazionale. A 17 anni fa il suo esordio nel circuito professionistico fino ad issarsi nell’agosto 2016 al suo best ranking, al numero 292 della classifica mondiale. Edoardo è probabilmente uno di quegli atleti le cui performance possono esplodere da un momento all’altro, ha un’ottima mano confortata da un fisico statuario. Ha uno dei migliori servizi d’Italia, per certi versi anche superiore a quello di Matteo Berrettini, perché sa variare direzioni ed effetti. Tecnicamente non ha difetti, non ha un punto debole né a destra né a sinistra, il rovescio a due mani è un colpo naturale con cui trova parecchi punti vincenti d’istinto. Il diritto è più costruito ma altrettanto solido. A rete viene in genere a prendersi il punto, e sta lavorando sodo anche sui colpi di volo. E’ un ragazzone di 186 cm, con gambe potenti e muscoli in tutto il corpo, e si muove bene in campo, leggendo in maniera veloce le situazioni e non avendo particolari problemi negli spostamenti sebbene comunque non rappresentino un suo specifico punto di forza.
Ma soprattutto è un ragazzo poliedrico, che sa essere scanzonato ma anche molto profondo, che è preda a volte di qualche “fantasma” ma che poi trova dentro di sé energie e risorse insperate grazie ad una indole sensibile e dolce. Il tennis è senz’altro uno di quegli sport in cui chi “pensa” di più, sia dentro sia fuori dal campo, fa inizialmente più fatica: dentro al campo devi aver automatizzato i movimenti e tutto ciò che passa attraverso il “pensiero razionale” non può far altro che inceppare la macchina dei gesti. Fuori dal campo il pensiero può indurre nella trappola del perfezionismo, altro nemico del tennista e dello sportivo in genere, il quale deve necessariamente accettare che gli errori, anche quelli di programmazione o gestione degli allenamenti, siano all’ordine del giorno. Edoardo attualmente è numero 721 delle classifiche ATP e sta forse trovando adesso, a ridosso dei 25 anni, una maturità che gli verrà utile anche dentro al campo.
Cominciamo dal presente: come sta andando questa stagione?
“Sono rientrato da un infortunio al ginocchio dopo 5 mesi e all’inizio mi sono sentito in buona forma e molto carico, ho fatto buoni risultati in Tunisia, poi qualche altro dolorino mi ha fermato di nuovo e dalla primavera ho deciso di trasferirmi alla Galimberti tennis Academy a San Marino. A “Galimba e alla sua famiglia mi lega un affetto particolare oltre che stima professionale e sono convinto di aver fatto una scelta vincente. La grande rivoluzione del ranking ATP che accadrà nel 2019 ci ha costretto a provare inizialmente solo Challenger, perché i punti dei tornei ITF Futures conteranno solo se arrivi in finale.”
Tu in genere non vuoi parlare molto di ranking, per cui ti chiedo: il tuo livello di gioco come lo definiresti? E quali sono gli obiettivi della tua carriera?
“Io e il mio coach crediamo di avere già un livello vicino ai top 100 in alcuni match. C’è bisogno di pazienza per arrivare ai livelli di classifica alti, pazienza fuori dal campo dove ci si deve allenare al top, sia in campo dove una settimana va bene, l’altra meno bene ma l’energia e l’entusiasmo devono rimanere alla massima intensità. E non è facile. Direi che la parola continuità è la parola magica, quella che può aprirti molte porte, anche quelle degli Slam.”
Per chi non ti avesse mai visto giocare come descriveresti Eremin tennista? Quale credi sia il tuo punto di forza?
“Mi piace comandare gli scambi, tirare forte, ho anche un buon tocco, una buona sensibilità di mano, direi però che la potenza è il mio punto di forza.”
Quali sono i coach che hai avuto?
“Tutti i coach sono stati importanti per la mia crescita. Ti posso dire che Edo Eremin è un puzzle in cui ognuno di loro ha messo almeno un pezzo. Il primo e il più importante è stato papà, senza di lui non sarei proprio diventato un tennista. Mi ha fornito le basi per farcela. Poi altri hanno modificato, modellato. Papà ha un approccio da russo come insegnamento: disciplina e tecnica, tanta tecnica. Poi ancora Puci a Bra, un periodo di 2 anni con Mauro Balestra e ho un rapporto buono coi tecnici “federali” Umberto Rianna e Giorgio Galimberti: Rianna ha un sacco di esperienza e ti regala spunti interessanti anche a livello umano, con Galimba ho girato parecchio e mi ha insegnato tanto a livello tennistico; nel periodo dei challenger in Italia ho fatto un buon lavoro con lui e per questo ho deciso di allenarmi da lui.”
Nel sito dell’ITF c’è scritto che la tua superficie preferita è “Hard”: lo è davvero?
“A me piace il “greenset”, una via di mezzo tra il “ghiaccio” e il cemento lento. Da una parte sono un giocatore che basa il suo gioco anche sul servizio, però dall’altra mi piace scambiare e non giocare su 1 o 2 colpi. Quindi mi diverte anche la terra, mi piace giocarci.”
E se domani diventassi tu coach di un ragazzo, immaginiamo un diciottenne che si affaccia nel circuito ITF, quali sarebbero le tue linee guida?
“Il segreto è la continuità, crederci sempre, perché la chance in una stagione arriva sempre, la settimana giusta in cui tutto funziona. E magari anche più di una. Quindi il “non mollare mai” è d’ordinanza. Solo che tutti lo sanno ma pochi riescono a farcela. Un altro consiglio fondamentale è darsi da fare per uscire il prima possibile dall’inferno dei Futures, tornei da 15mila dollari: non solo danno pochi punti e pochi soldi, ma sono anche in luoghi a volte poco stimolanti, con poca professionalità in mostra tutto sommato. Servono anche quelli a crescere, e sono un inizio inevitabile ma restarci impantanati è pericoloso per autostima e sviluppo della carriera. Un grande problema per i più giovani, qui in Italia, sono i genitori: c’è poca cultura sportiva, sono loro i primi a volte ad esaltare e poi gettare nello sconforto i ragazzi, mentre la programmazione va fatta a step, anche se sei forte da ragazzino devi poter fare i tuoi sbagli per imparare, devi poter perdere anche 10 partite di fila senza ripercussioni nell’autostima. Sinceramente se dovessi mai prendere un ragazzino da allenare, forse non lo prenderei italiano, perché in fondo qui in Italia si fatica ad uscire dalla “zona di comfort”. Qui stiamo bene, si mangia bene, ci sono posti meravigliosi, sì c’è crisi ma abbiamo ancora un buon tenore di vita e per cultura e tradizione un ragazzo si mette in gioco davvero più avanti con l’età. Non è un caso che i tennisti italiani raggiungano il loro best ranking a 30 anni, anche se non è un fenomeno solo italico. Prenderei un ragazzino dell’est europeo e lo porterei in Italia, dove ci sono comunque ottime strutture, solo quando è maturo. Tu pensa per un attimo a Nadal, lui su tutti è un esempio, non molla un punto, non sgarra un allenamento; il suo essere sovrumano non è solo perché ha vinto così tanto, ma perché ogni giorno aggiunge qualcosa al suo bagaglio e mette la massima energia in quel che fa.”

Il tuo primo incontro da professionista nel 2010 contro il colombiano Gonzalez al challenger di Alessandria perso al terzo set, te lo ricordi? E chi c’era a bordo campo a sostenerti?
“Mi ricordo molto bene, ero praticamente in casa, c’era mio papà a bordo campo, una grande soddisfazione perché non avevo niente da perdere ed avevo giocato bene.”
Prima stagione nel 2010 nella quale hai fatto le tue prime esperienze da “grande” conquistando i ptimi punti Atp. Poi nel 2011 i primi acuti in Turchia e in Serbia. Cosa ricordi di quel periodo?
“Di quel periodo ricordo che avevo fatto diversi buoni risultati, da un certo punto di vista era anche più facile, perché giocavo con pochissime pressioni, stavo costruendomi la classifica un passo alla volta, non avevo quasi nulla da difendere dei punti dell’anno precedente, insomma andavo forte per essere alle prime esperienze e fisicamente stavo benissimo.”
Sempre ad Izmir l’anno successivo (nel 2012) hai ottenuto due buoni risultati, molti parlano male dei tornei turchi un po’ tritacarne, fatti solo per riempire i resort (come del resto anche a Sharm o in altre parti del globo), te cosa ne pensi? Ed era un caso il buon rendimento su terra turca?
“Ti dico che in Turchia mi sono sempre trovato bene, i resort sono belli, organizzati bene, si mangia un cibo più che buono, probabilmente anche per questo motivo ho vinto parecchio da quelle parti. Sharm un po’ meno bene, ti dà l’idea di essere tutto organizzato a scopo monetario, come di fatto è, c’è minor attenzione per i giocatori, un torneo dopo l’altro e a mio parere organizzati meno bene di quelli turchi. Però parliamo di qualche anno fa, non so adesso. In effetti alcuni tornei sono decisamente meno stimolanti di altri, e non parlo del prize money, ma proprio di quanto si può sentire importante un tennista.”
Sei entrato tra i primi 500 del mondo a 20 anni. Era il 2013, anno in cui hai conquistato il tuo primo torneo in Svizzera e la settimana successiva hai raggiunto la finale a Vaduz, battendo tra gli altri Galovic, Torebko e Grigelis. Hai chiuso anche bene la stagione con diverse vittorie, un paio anche su Federico Gaio che cresceva già molto bene. In quel momento pensavi di avere la strada spianata?
“No, assolutamente, mi rendevo conto che stavo giocando bene, ma sapevo già allora che la strada sarebbe stata in salita e che sarebbe stata dura. E in effetti in questo sport ti devi continuamente confermare.”
La stagione successiva, il 2014, è iniziata con due semi a Pula ed una finale in Bulgaria, però a fine anno sei precipitato in classifica fino alla posizione 717, con nessun torneo giocato da luglio fino a dicembre, cosa accadde?
“Quello del 2014 è stato un periodo difficile. Giocavo a tennis, mi allenavo duramente, i risultati non erano quelli che mi aspettavo, in poche parole sono andato in overdose da tennis e non mi divertivo più. Ho voluto staccare da luglio a dicembre, per poi ripartire alla grande l’anno successivo.”
Il 2015 è ricominciata con una buona semifinale nella Turchia portafortuna, dove hai battuto anche Matteo Berrettini, per proseguire nella vicina Grecia, ad Heraklion, vincendo un torneo e conquistando un’altra finale, perdendo solo 2 set in 10 incontri. In quella occasione rilasciasti una bella intervista al collega Matteo Grigatti in cui parlavi delle difficoltà economiche di un giovane alle prese coi tornei ITF. Che ricordi hai di quell’esperienza e quali sono le maggiori complicanze da spiegare al lettore che non conosce il circuito?
“La vita del tennista che gira Futures e in parte i Challenger è davvero tostissima. Capisco che qualcuno possa pensare ad un divertimento, o comunque a un’esperienza affascinante, però i punti son pochi, i soldi ancora di meno, ti devi adattare a tante situazioni, giochi con avversari accaniti in ambienti a volte esageratamente spartani, che non ti danno emozioni positive. Questo non significa essere schizzinosi o non saper apprezzare la soddisfazione di partecipare ad un torneo professionistico, ma chi gira sa bene cosa significhi dover continuamente partire, organizzarsi per dormire, orari strani, tutto si lega al fatto che i tornei più piccoli non sono organizzati per favorire gli atleti quanto per fare soldi. E si sta sempre a combattere. Ci sono molti Open organizzati meglio. Prima esci dai Futures meglio è.”
L’annata 2015 è proseguita con un titolo sulla terra in Slovenia, finale sul veloce a Piombino ed una vittoria in finale su Peter Heller ad Antalya (torna la Turchia amica) sempre su hard outdoor, oltre ad altri buone performance come quella contro Almagro pur persa nel challenger di Genova: hai così toccato quello che fino a quel momento è il tuo best ranking chiudendo al numero 339: che periodo è stato?
“La partita con Almagro me la ricorderò per sempre. Prima di entrare in campo mi ripetevo di restare con lo sguardo in basso senza alzare gli occhi verso lo stadio centrale pieno, più di 2mila persone, e devo dire che la scelta di cercare la concentrazione massima ha pagato, perché ho giocato davvero bene, pur perdendo 6-4 7-5.”
Nel 2016 hai deciso di concentrarti sul circuito Challenger, partendo spesso dalle quali o aiutato in qualche wild card in Italia: scelta che rifaresti?
“Sì, c’è chi preferisce cercare punti teoricamente più semplici giocando Futures, e chi una volta che ha un minimo di classifica prova le quali dei Challenger. Io sono per percorrere questa seconda strada, almeno se l’atleta si rende conto di avere il livello per competere e avere chance.”
Al Challenger di Barletta 2016, dove sei entrato in main draw grazie ad una wild card federale, hai superato in una partita epica Igor Sijsling, ottimo tennista di livello Atp, trionfando al terzo set. Quella è stata una vittoria importante, perché?
“Innanzitutto è stata la mia prima vittoria in un main draw challenger, poi Sijsling è un giocatore fortissimo, a ridosso dei 100, credo che in quel momento fosse 120, e io venivo da un brutto periodo, avevo fatto male nella trasferta cinese di qualche settimana prima. La fortuna è stata che prima di Barletta avevo svolto 2 settimane di preparazione con Giorgio Galimberti insieme a Sonego che mi ha rimesso in forma atleticamente. Devo molto a Galimba per questo.”
A Vicenza 2016 arrivarono tre scalpi di assoluto valore (Monteiro, Laaksonen e Kozlov) ed un episodio che vale la pena di raccontare: Primo turno col brasiliano Monteiro, testa di serie numero 3, giocatore assai temibile. Perdi il primo set 6-2, poi la pioggia rimanda l’incontro per qualche ora. Al tuo rientro sembri un altro giocatore, ti va di raccontare cosa vi diceste con coach Rianna, che era al tuo seguito?
“Rianna mi prese da parte e mi fece uno shampoo. Non stavo giocando con la giusta energia ed aggressività, me ne rendevo conto e le sue parole mi fecero scattare una molla. Fu importante il suo intervento.”
Milano 2016, asfaltasti Carballes Baena, uno che su terra gioca molto bene, per poi perdere da Matteo Donati: un po’ li soffri i derby o no?
“Con Carballes Baena mi ricordo benissimo che giocai divinamente, poi in effetti meno bene con Donati, non è che soffro i derby, più che altro è difficile giocare contro quelli che ritieni amici.”
San Benedetto del Tronto: hai dichiarato che è uno dei tuoi tornei preferiti, perché?
“Bellissima San Benedetto del Tronto come location, il circolo Maggioni a due passi dal mare, organizzazione ottima, si sta bene, è un ambiente speciale.”
Hai già idea della programmazione dei prossimi mesi? E prossimo torneo?
“Faccio sicuro le quali a Genova nel Challenger, poi un paio di Open, e poi tre settimane a Pula, cercando di riprendere un po’ di classifica.”

Auto-Analisi tecnica dei tuoi fondamentali…
“Diritto: pesante, con rotazione; rovescio, naturale piatto; servizio, potente, un mio punto di forza ma da migliorare la precisione e il kick; gioco a rete, devo migliorare nella convinzione. So fare bene il back, negli spostamenti sono migliorato molto.”

Giorgio Galimberti e Edoardo Eremin

Per capire come migliorare ancora abbiamo sentito il suo Coach Galimberti che ci risponde così.
“Nel 2016 io seguivo il gruppo Over 18 in alcune trasferte e con Eremin, Sonego e Mager abbiamo lavorato assieme per conto della Federazione a quei tempi. Si era instaurato un bel rapporto già a quei tempi e poi per un motivo o per l’altro non ci eravamo più incontrati professionalmente. A Marzo di quest’anno ci siamo sentiti, Dodo mi ha chiesto come ero organizzato, e io ho trovato uno spazio per lui, di cui sono felicissimo perché ci credo davvero tanto in questo ragazzo. Pur continuando a seguire gli under 20 per conto della FIT siamo riusciti a trovare un accordo per cui lo seguirò in una decina di tornei, e si allenerà qui a San Marino per questo periodo fino alla fine dell’anno. Il percorso è cominciato sotto i migliori auspici: Dodo si è già stabilito qui, in una delle stanze a disposizione dei giocatori, ha familiarizzato subito con i miei collaboratori, e ha trovato un ambiente che sente proficuo. Iniziamo a lavorare in un periodo non canonico, cioè a stagione già nel vivo, tuttavia io con lui ho un rapporto profondo e lo conosco a perfezione. Ho le idee molto chiare: siamo nel vivo dei tornei, dove cercheremo di mettere più fieno in cascina per quel che concerne i punti e ottimizzando il lavoro ai fini della performance immediata. Ogni tanto faremo dei break di preparazione per lavorare su alcuni aspetti, sia tecnici che tattici ed atletici. Insomma ora serve subito brillantezza, quanta possibile. Ora Dodo sta già facendo bene, si è qualificato sia a Lisbona che a Mestre, vincendo 6 partite su 8, l’unico merito che mi riconosco è quello di avergli messo a disposizione un ambiente positivo per lui, e Edoardo è un ragazzo che ne ha bisogno. Per farti capire Eremin ha già un rapporto molto bello con la mia compagna e mio figlio Pietro. Erano giorni che mio figlio ripeteva “quando viene Dodo, quando lo vediamo?”. Il bello di Edoardo è che sa davvero farsi amare. E anche Eremin atleta si nutre di queste cose.”
Su cosa pensi di lavorare in campo Giorgio?
“Sicuramente c’è da lavorare su alcuni aspetti ben chiari. Primo: una discreta mobilità in mezzo al campo è un obiettivo primario, quindi una perdita di peso a favore dell’agilità. Secondo, lavorare sulla tecnica del servizio, perché sulla potenza ci siamo già, ma dobbiamo aumentare la percentuale di prime palle e la consistenza della battuta. Diventa difficile da brekkare se ha una percentuale buona di prime. Poi il colpo successivo al servizio è determinante per un giocatore come lui: con una buona mobilità appunto dobbiamo arrivare bene sulla palla per colpirla con potenza e precisione. La sua palla corre mediamente di più degli altri giocatori, per cui siamo già un passo avanti da questo punto di vista. Sul piano tattico dobbiamo trovare ordine sulle scelte, a volte è necessario spingere, altre volte no. In realtà Dodo è abbastanza lucido sul piano tattico di suo, perde però ordine quando fa fatica atleticamente, e torniamo al discorso di stare al massimo della condizione fisica per arrivare bene con gli appoggi. Con certi accorgimenti già stiamo riuscendo a migliorare da questo punto di vista, anche se lui è un uomo di 90 kg. Per Dodo sarà importante riuscire a fare vincenti sulle palle “facili”, quando l’avversario accorcia e si tratta di chiudere il punto, oltre ovviamente a fare tanti punti diretti col servizio e col secondo colpo. Se lui diventa così “cecchino” finisce con lo snervare anche l’avversario che finisce col perdere sicurezze ed aumentare i margini di rischio. Col direttore della preparazione atletica Luca Fiore stiamo predisponendo un programma specifico per lui, con le idee molto chiare anche grazie ai fratelli Ciotti, saltatori che han partecipato alle Olimpiadi e che collaborano fattivamente con noi: per un ragazzone come Dodo è molto importante smobilizzare la caviglia e lavorare sui piedi, e chi meglio di esperti saltatori come i fratelli Ciotti? Guarda creare un contesto positivo per un ragazzo sensibile come Edoardo è davvero l’arma in più che, insieme alle competenze di ognuno, finisce per diventare un moltiplicatore di energie. Qui da noi c’è attenzione alla professionalità massima, ma non siamo schiavi del risultati, ci interessa la preparazione dei match all’interno di un gruppo di lavoro che abbia entusiasmo e positività. E poi con Dodo a Marbourg e Braunschweig nel 2016 abbiamo trovato una chimica speciale, abbiamo piacere di stare insieme dentro e fuori dal campo.”

Torniamo a parlare con Edoardo e ci soffermiamo su altri aspetti.

Edo mi dai le percentuali di influenza sul gioco della tecnica, tattica, atletica e mentale di un professionista secondo te?
“50% mentale, 30% tra tecnica e tattica, 20% fisico.”
Alimentazione e tennis: come ti gestisci sul piano nutrizionale? Hai un regime alimentare da seguire nello specifico?
“Mi gestisco tranquillamente, so che tipo di alimentazione devo seguire e non faccio più di tanta fatica. Un professionista deve saper fare questo.”
Ci si può ancora divertire quando si diventa professionisti, oppure il tennis diventa un lavoro e come tale va preso? E tu, Dodo, ti diverti ancora?
“Dipende come si prende il tennis. A volte effettivamente è dura divertirsi, però vanno assolutamente trovati dei momenti di vera gioia, in cui il tennis torni ad essere un gioco, altrimenti rischi di avere fasi negative. La durezza sta nel fatto che devi star sempre a mille, a volte si rischia di vederlo come un lavoro, come uno stress, perché non puoi mai calar la guardia. E’ un confermarsi sempre e poi se ti capita un infortunio metti in dubbio tante cose.”
Soldi: quanto spende un giocatore da challenger in una stagione con 25 tornei da giocare, con un allenatore e staff, per i materiali? Quanto abbozzeresti come budget?
“Se vuoi fare una programmazione coerente, devi pensare di investire almeno 40-50mila euro.”
Come ti vedi in futuro come coach?
“Mi ci vedo però tra parecchi anni, e mi piacerebbe seguire qualche professionista.”
Come gestisci i 25 secondi tra un punto ed un altro? Hai delle routines?
“Qualche volta saltello per attivarmi, oppure faccio rimbalzare la pallina parecchie volte prima di servire per trovare la concentrazione, ma non c’è una routine particolare.”
Filippo Ghio, in un incontro qualche mese fa a Sestri dove gestisce il suo circolo, ha raccontato che da ragazzi vi divertivate un sacco, che ricordo hai di lui? E chi sono i tuoi migliori amici nel circuito?
“Mi ricordo benissimo di Filippo, è un po’ che non lo vedo ma da ragazzini ci siamo divertiti molto insieme. Di amici ne ho tantissimi, sono una persona socievole, cerco di legare con tutti, ed è ovvio che con i ragazzi italiani con cui ho girato insieme o con cui mi alleno ho un rapporto più stretto, ad esempio con Matteo Donati, con Gianluca Mager, con Matteo Berrettini, Lorenzo Sonego, e ultimamente ho conosciuto meglio anche Pellegrino e Ocleppo, ma credimi ce ne sono tanti altri per i quali nutro una amicizia sincera.”
Capitolo Italia, come crescono i nostri giovani?
“Berrettini è cresciuto tantissimo, uno di quelli che è cresciuto di più, io lo dicevo già 3 o 4 anni fa, non mi stupisco certo della sua crescita, sperando che il fisico lo sostenga. Sul veloce è già pronto per un livello alto, da 100 del mondo. Sonny (Sonego ndr) sta facendo il grande salto e Mager e Donati, sono ragazzi già pronti per il grande salto, si tratta solo di trovare continuità, discorso che vale anche per me. Poi io vedo in allenamento Ocleppo, è un altro che gioca davvero già bene.”
Doping. Dimmi la tua, esiste nel tennis?
“E’ un discorso difficile, se pure qualche top possa prendere qualcosa il fatto che lo becchino diventa un problema politico, a chi conviene? Se conviene lo pizzicano altrimenti no. A certi livelli il sentore che il doping esista c’è. Io però non lo farei mai, ci tengo alla mia salute.”
Scommesse.
“Altro tema particolare. E’ un qualcosa che non capirò mai.”
In una intervista recente hai voluto ringraziare Mattia Errico e sua mamma Lina, però non hai mai spiegato il motivo.
“Li voglio ringraziare perché li sento far parte della mia famiglia, sono due persone stupende che mi hanno aiutato tanto e continuano a farlo.”
Sei abbastanza attivo su Instagram, ti piace usare i social? Sono un qualcosa in più per un professionista o possono rappresentare un problema?
“I social sono solo un modo per condividere le proprie emozioni, le foto, video e momenti con i propri amici.”
E’ vero che come alternativa eventuale al tennis ti piacerebbe provare la carriera di modello?
“Ti dico che forse non mi piacerebbe perché sono timido, non amo stare sotto i riflettori, quindi ti rispondo di no.”
Capitolo donne. Tu sei senz’altro uno che piace particolarmente alle ragazze. Cosa guardi per prima sul piano estetico in una ragazza? E sul piano umano che caratteristiche deve avere?
“Di una ragazza mi attrae l’insieme, spesso guardo molto il fisico e una che mi piace è Charlize Theron. Sul piano umano la parola chiave è umiltà. Umile, semplice, solare e positiva, questo potrebbe essere l’identikit ideale di una mia compagna. Se fosse anche sportiva sarebbe il massimo.”
Sesso prima della competizione, sì o no?
“Meglio di no.”
Chi è la tennista più bella secondo te?
“Quando giocava ancora la Ivanovic, e la Kirilenko non era niente male.”
Hai iniziato con tuo papà, Igor, che è stato il tuo maestro e che ha lavorato a lungo presso il Match Ball Bra, dove sei tuttora. Che ricordi hai del papà insegnante quando eri bimbo?
“Era molto severo, durissimo, questo mi ricordo anche se comunque lo ringrazierò sempre per avermi dato delle basi solide anche se forse io come papà vorrei essere leggermente diverso.”
E a che età vi siete resi conto che eri bravo e avresti potuto fare il Pro e quali erano le tue caratteristiche da ragazzino? E chi era il tuo idolo?
“Safin mi ha sempre affascinato, sia come giocatore, sia come personaggio. Unico. Mi piace tanto anche Verdasco. Ci siamo resi conto dopo i 15 anni, perché prima di quell’età le variabili sono troppe. A 15/16 anni abbiamo visto che il mio livello era buono e pensavamo di aver le doti per poter competere.”
Che ruolo ha avuto la tua mamma Paola nella tua crescita, come ragazzo e come tennista?
“Mia mamma è una persona fantastica. Mi ha sempre sostenuto, dicendomi di fare quel che mi piaceva, non mi ha mai messo nemmeno un pizzico di pressione. Ogni tanto la porto anche con me perché mi far star bene, per altro non è un caso che quando ho vinto i match più importanti lei ci fosse a bordo campo. Energia positiva.”
La separazione dei tuoi genitori ha condizionato la tua crescita?
“Inconsciamente forse un po’ sì, mi ha condizionato. Nel corso degli anni però ho metabolizzato la cosa.”
Eleonora è tua sorella, è molto schiva e per lei sei un mito, senti pressione per essere un suo punto di riferimento?
“La adoro, a volte mi fa arrabbiare un po’, del resto sono il fratello maggiore e tendo ad essere protettivo.”
Il tuo secondo amore è il basket e sei pazzo per i tuoi cani, quanti ne hai? Ed è vero che il tuo mito è Kevin Durant, ala tiratrice di Golden State?
“Sì Kevin Durant è il mio idolo, e probabilmente sarei un’ala piccola nel basket.”
A chi mandi il primo whatsapp per avvisare che sei arrivato ad un torneo, o chi chiami appena finito un match importante?
“Chiamo il mio migliore amico Mattia, mia mamma e mio papà.”
Alessandro Zijno