La Racchetta Spaghetti: la romantica rivoluzione che ha ispirato le Luxilon

Ciò che Werner Fischer, un ingegnere e contadino di Vilsbiburg con l’ossessione de tennis, bramava non erano i soldi, era l’ambizione di restare nella storia. Non ebbe né i soldi né la fama, eppure la sua invenzione è diventata mitica tra coloro che conoscono i segreti della storia del tennis. Werner Fischer fu amato, stimato, ricercato come uno spacciatore tra tossici, poi fu osteggiato e infine definitivamente cancellato dalla storia ufficiale del nostro sport.

Il 3 Ottobre 1977 l’inventore della vera Racchetta Magica fu definitivamente smascherato e bandito lui con la sua invenzione: era appena finita la finale del torneo di AIX En Provence, torneo che ancora resiste al tempo in Francia. Quel torneo e quella racchetta misero fine alla serie di 53 vittorie consecutive sulla terra rossa di Guillermo Vilas che uscì dal campo ritirandosi quando era sotto nel punteggio e dichiarando: “Ho perso contro una racchetta non contro un giocatore.”

La Racchetta Spaghetti era nata qualche anno prima dalla mente geniale di Fischer, che era un dilettante senza grosso talento tennistico ma con una grande voglia di vincere: e così si era inventato una particolare incordatura doppia, con doppi nodi e un pattern stranissimo: la primissima versione aveva 36 corde verticali e appena 5 orizzontali. L’incordatura aveva una controindicazione non da poco: impegnava moltissimo tempo per farla a regola d’arte, almeno 10 volte di più che per una incordatura normale (20 minuti per una incordatura normale, anche 3 ore e mezza per lo “spaghetto”). Poi ci furono le naturali evoluzioni che Fisher stesso, e chi lo seguì in futuro, fecero di questa filosofia di incordatura.

Fischer all’inizio la tenne solo per sé e per i propri compagni di squadra: giocava con la squadra del piccolissimo TC Grun Weiss Vilsbiburg e partendo dal nulla lo trascinò fino ad una incredibile promozione in Bundesliga. Fu così che la TV Tedesca lo intervistò e la racchetta cominciò a diventare più conosciuta. Ma sembrava più un simpatico orpello, quasi un portafortuna, o comunque un attrezzo che non avrebbe avuto un grosso seguito. Del resto nessun professionista la usava, un motivo ci doveva pur essere.

E così Werner Fisher cominciò a girare il circuito per presentare la sua creazione partendo dal torneo di Colonia dove ebbe solo rifiuti cordiali. Passando da un torneo all’altro però e grazie alla sua passione per il tennis, Fisher cominciò ad intrattenere rapporti di simpatia o anche amicizia con alcuni protagonisti del circuito mondiale, concordi nel fatto che questo ragazzotto fosse un buon conoscitore delle dinamiche del tennis, che fosse simpatico e affidabile. Connors tuttavia non lo prese sul serio; Harold Solomon lo volle invece vicino al suo Box (all’epoca in realtà i tennisti perlopiù non avevano Coach o staff al seguito) perché sosteneva gli portasse fortuna e fosse una persona positiva. Solomon provò la racchetta spaghetti, ma il medico che ne curava i problemi al gomito gli sconsigliò di usarla nei tornei. E quindi l’affare per Fisher sfumò.

C’era però un australiano, Barry Philips-Moore, che fece anche semifinale agli Aus Open che era famoso per incordarsi le racchette da solo e adottò il sistema “spaghetti”. Andò al Roland Garros nel 1977 quando aveva già 40 anni e scelse di giocare con la sua racchetta incordata “spaghetti”: sconfisse il cileno Patricio Cornejo, scrivendo una storia che sorprese molti addetti ai lavori. Il merito fu dato principalmente all’incordatura della Racchetta Spaghetti e l’americano Michael Fishbach restò tanto affascinato che provò in ogni modo a farsene dare una per capire come funzionasse e poterla studiare. La risposta di Philips-Moore fu netta: solo lui e il suo autore Fisher potevano averla.

L’americano Fishbach però non era uno che si arrendeva facilmente: anche come tennista era un americano atipico che non disdegnava giocare sulla terra rossa, a quei tempi un po’ indigesta per gli statunitensi. E così in occasione del torneo di Gstaad incontrò Fisher che era lì per salutare degli amici e farsi due scambi in amicizia. Approfittò della distrazione del nostro genio per rovistargli nella borsa e dare un occhio da vicino a questa famosa incordatura. A quei tempi non c’era la possibilità di fotografare qualsiasi cosa con un cellulare, né esistevano siti internet che parlassero di questa incordatura e di come si realizzasse. Era tutto un susseguirsi di voci, di mormorii, di sussurri. Fishbach però aveva una memoria fotografica e quando tornò a casa provò ad imitare il lavoro di Fisher. Dopo 30 ore e con l’aiuto del fratello riuscì a costruirsene una più o meno simile. Ci si allenò e i primi tentativi furono un mezzo disastro. Ma…non appena riuscì a gestirla…si presentò agli US Open e partendo dalle quali arrivò al terzo turno, lui che non era mai riuscito e mai riuscirà più a vincere una sola altra partita negli Slam. Si tolse anche la soddisfazione di battere al secondo turno nientemeno che Stan Smith che al termine del match definì la palla del suo avversario come impossibile da gestire.

La Racchetta Spaghetti così divenne molto popolare, almeno tra i tennisti più esperti, e la maggior parte fecero la scelta etica di non usarla mentre per alcuni era la cura definitiva per il loro tennis. Le Istituzioni tennistiche internazionali intanto traccheggiavano. Nastase prese pubblicamente posizione contro la racchetta spaghetti tranne poi però adottarla anche lui e presentandosi a giocare proprio a Aix En Provence con un telaio in alluminio incordato spaghetti creato da Fisher stesso che glielo portò personalmente in automobile. In quel torneo arrivò in finale e avrebbe giocato contro Guillermo Vilas che non perdeva da 53 partite. Ben 3 dei 4 semifinalisti di quella edizione del torneo francese, Goven, Deblicker e lo stesso Nastase usavano la Racchetta Spaghetti. Persi i primi 2 set Vilas abbandonò il campo furioso.

Il giorno dopo l’ITF proibì l’uso della Racchetta Spaghetti, infliggendo la pena di morte ai sogni di Werner Fisher. L’ira di Vilas e del suo Manager, che all’epoca era il potente Ion Tiriac, spinsero L’ITF a prendere questa clamorosa decisione.

Ma cosa aveva di particolare la Racchetta Spaghetti?

Innanzitutto nel corso del tempo si erano sviluppate innumerevoli varianti: il comune denominatore era un certo numero di corde orizzontali (perlopiù 5, ma a volte 4 o anche 7) e mettendo due corde verticali per buco. Soprattutto, non interallacciò le doppie verticali passandole alternativamente sopra e sotto le orizzontali, ma le fece semplicemente passare una sopra e una sotto, fissandole insieme tra loro fra una orizzontale e l’altra, e rivestendole con tubicini di plastica scivolosa dove toccavano le orizzontali, che ricordo erano la metà. Il risultato era che le doppie verticali erano completamente libere di spostarsi all’impatto con la palla, grazie al fatto di non essere interallacciate con le orizzontali e per la ridotta frizione ottenuta dai rivestimenti di plastica, ma contemporaneamente erano molto rigide (essendo doppie) e nei millisecondi in cui la palla era ancora sulla racchetta scattavano immediatamente tornando nella posizione originale, aggredendo così la palla e sparandola fuori con un top-spin mai visto. Si parla di oltre il doppio a parità di movimento e impatto.

 Pur con nette differenze tutte le varianti avevano l’obiettivo di far restare la pallina sulle corde il più alto tempo possibile.

E infatti pare che la pallina indugiasse sul piatto corde per un tempo più lungo del normale ed era come se fosse colpita un paio di vote rendendo impossibile controllare le rotazioni.

Qualche anno dopo l’Università di Brunswick si prese la briga di fare uno studio approfondito sulle traiettorie che provocava questa incordatura. Gli studi confermarono le impressioni degli avversari: nell’impatto la palla sembrava normale, poi appena toccava terra il rimbalzo diventava impronosticabile. In pratica metteva in crisi gli automatismi dei colpi. Nastase che ci giocò sosteneva che bastava servire in slice mantenendo in campo la palla nella prima di servizio per non essere mai brekkati. E anche in risposta bastava bloccare il polso senza forzare per mandare di là una palla non veloce ma impossibile da spingere per l’avversario.

Ma sapete quale era la grandissima forza della racchetta spaghetti per davvero? La sicurezza che regalava ai proprietari, quasi fosse una racchetta magica, che rendeva invincibili.

IL PARADOSSO. Oggi tutti usano la racchetta spaghetti, cioè le corde Luxilon.

In realtà l’invenzione della Racchetta Spaghetti con quel sistema di incordatura complesso e costoso è stato brillantemente superato nel tempo dalla tecnologia delle corde Luxilon, che sostanzialmente riproducono gli stessi effetti e sono perfettamente in regola. Kuerten fu il primo ad incordare le sue racchette con un nuovo tipo di corde, sviluppate da una piccola azienda belga specializzata in prodotti tessili sintetici quali suture mediche, materiali da arrampicata, e componenti di biancheria intima come le spalline dei reggiseni: la Luxilon Industries.  Tali corde erano costituite da un unico filamento di poliestere estruso, spesso addizionato con additivi chimici che ne aumentano la scivolosità e la rigidezza, definibile quindi come co-polimero monofilamento.

L’efficienza di questa tecnologia è risultata così evidente da portare la quasi totalità dei professionisti, anno dopo anno, a convertirsi ai monofilamenti, con qualche perplessità all’inizio dovuta al fatto che la capacità di generare spin di questi materiali era tanto clamorosa da rischiare di stravolgere meccaniche esecutive e di gioco sedimentate. Ma con l’arrivo della generazione di “nativi del monofilamento”, ovvero tutti i campioni attuali, la rivoluzione si è completata. Il salto prestazionale in termini di top-spin, tale da far coniare la definizione “Luxilon shot” per descrivere le potentissime e incredibilmente cariche parabole generate da questo tipo di corda, a parere di molti addetti ai lavori è paragonabile solo al passaggio dalle racchette di legno ai “padelloni” profilati di grafite e fibra di carbonio. Racchette che però venivano largamente utilizzate fin dai primi anni ’80, con conseguente progressivo incremento della velocità di palla e del ritmo di gioco, ma è dal periodo a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio che si è reso evidente che andare sistematicamente a rete cominciava a significare venire sistematicamente impallinati.

Strana la vita eh? Fisher ha avuto una intuizione pazzesca ma alla fine è passato quasi per un criminale…

Alessandro Zijno