Adriano Albanesi, ex allenatore di Lesya Tsurenko: “Il primo aspetto che guardo in un tennista PRO è la parte dal bacino in giù. Con Lesya separazione improvvisa e sono pronto a ripartire.”

Adriano Albanesi, 38 anni, ex allenatore di Lesya Tsurenko portata ad un passo dalla top20 WTA, si racconta attraverso una bella intervista di Luca Fiorino

Come stai e dove stai?

“A casa ormai da quasi un mese, appena c’è stata l’allerta ci siamo chiusi in casa, abbiamo 3 bambine, la scuola ha chiuso e abbiamo ridisegnato un pochino l’organizzazione familiare. Del resto era l’unica soluzione e mia moglie è ricercatrice per una industria farmaceutica, per cui è addentro a queste tematiche e mi ha messo subito in guardia da possibili superficialità. Noi viviamo a Tivoli e pensa che ci portano la spesa a casa, essendo una piccola cittadina è tutto più facile. Non ho mai colorato così tanto in vita mia: le mie bimbe hanno la prima 6 anni, la seconda e la terza 4 anni, sono gemelle. In questo periodo di stop forzato è bello poter condividere tanto tempo con loro.”

Ex Coach di Lesya Tsurenko, ex giocatore, raccontaci un po’ la tua carriera

“Classifica italiana 2.1, in singolo ATP una manciata di punti, mentre in doppio sono andato meglio. All’epoca era tutto più difficile, perché io che mi sono focalizzato un periodo solo sul circuito Futures italiano, trovavo livello altissimo qui da noi: ricordo che solo per qualificarti dovevi battere qualcuno tra i primi 400 o 500 del mondo, altrimenti non ce la facevi ad entrare. In Italia c’era un livello altissimo dei Futures a quell’epoca. Non è mai facile, anche oggi per i ragazzi è dura ma hanno il vantaggio di poter disporre di un numero maggiore di tornei, quindi il campo di partecipazione si livella un po’ verso il basso. Poi sai, i biglietti aerei costavano molto di più, per cui in tanti restavano in Italia aumentando le difficoltà di entrare nei tabelloni.  Oggi almeno sul piano degli spostamenti, si riesce a risparmiare di più. Quando si girava si andava anche in posti particolari, come quando andammo io e Cobolli a Lagos in Nigeria, un 25mila +H. C’erano anche altri italiani che dopo la prima settimana scapparono. Piccolo aneddoto: arrivammo dove dovevamo giocare e non vedevamo il campo. Chiedemmo informazioni e ci risposero che lo avrebbero costruito nella notte. Ora girando ti posso dire che ho visto strutture magnifiche in Cina, anche in India, paesi che prima stavano indietro, e oggi ci hanno raggiunto e pure superato.”

Nel tuo percorso di crescita hai avuto importanti maestri, Zugarelli, D’Adamo…

“Ognuno di loro mi ha dato tantissimo, li porto tutti con me. Sia Tonino Zugarelli che Massimo D’Adamo ricercavano molto l’ordine nel gioco, questa cosa li accomunava, anche se in altri aspetti erano differenti. Alla base della costruzione di un giocatore c’è, appunto, l’ordine. Poi il massimo delle sensazioni l’ho trovato quando mi sono riavvicinato a casa col mio vecchio allenatore: ho sentito l’affetto della famiglia, ho conosciuto mia moglie e sono riuscito ad allenarmi di più e con più consapevolezza forse perchè mi mettevo meno aspettative e mi godevo il momento.”

Nella tua carriera decennale da coach, cosa ti porti dietro sul piano professionale dai tuoi vecchi allenatori.

Massimo D’adamo voleva che facessi sempre un passo dentro al campo, e mi proiettassi a rete quando possibile. E anche che fossi virtuoso, propositivo, proattivo. A livello tecnico, intendo. Tonino Zugarelli un lavoratore instancabile: io, Aldi, Starace, Petrazzuolo, Torresi, ci stimolavamo a vicenda; il volume di lavoro era pazzesco, e me lo sono ritrovato nella parte di carriera post-Tonino. Possedevo a quel punto delle ottime basi fisiche e mentali, relativamente a carichi di lavoro e capacità di sacrificio. Con Massimo avevo 18/19 anni, con Tonino ne avevo già 22/23.”

Cosa è cambiato da 15/20 anni a questa parte in tema di coaching. E le differenze tra allenare un ragazzo rispetto ad una ragazza.

“Differenza tra uomo e donna? Prendi con le pinze questa risposta: un uomo ha bisogno di un allenatore ma anche di un “amico”; spesso una donna ha invece più bisogno di una “guida”. Sono due aspetti diversi di una stessa figura, il coach. Poi è ovvio che all’interno di queste definizioni ci può stare un mondo, e esistono anche tra gli allenatori dei maschi quelli che ti dicono cosa devi e cosa non devi fare, ovvio. Maschi e femmine sono due mondi così diversi, a volte opposti; ci sono ragazze professioniste che possono anche avere bisogno di un rapporto con l’allenatore che vada addirittura oltre l’aspetto professionale, qualcosa ancora in più rispetto alla guida. Una che mi dava questa idea era la Muchova. A livello di team oggi c’è la ricerca del dettaglio, non solo dentro al campo, ma anche e soprattutto fuori dal campo: il preparatore fisico del mio team è da sempre (a livello internazionale) Fabio Buzzanca. Abbiamo iniziato il nostro rapporto prima di Lesya Tsurenko, poi proseguito con lei e attualmente lui è anche nutrizionista e fitness coach della Rybakina. Penso a quante notti insonni a programmare e sistemare molti dettagli: con le ragazze anche la forbice di allenamento va aperta e chiusa quasi di continuo perché il corpo cambia di settimana in settimana. Non sono uno che improvvisa ma programmare a lungo termine può essere anche controproducente, perché non sai mai cosa possa accadere, in particolar modo con le ragazze. Rispetto al passato c’è meno improvvisazione e senza dubbio più approcci scientifici: noi in campo lavoriamo molto la base cognitiva e a me piace cominciare a valutare un tennista dal bacino in giù. Guardo prima la parte bassa, la parte alta è una conseguenza: parlo di giocatori già costruiti. Però conosco nobili altri coach che partono invece dal bacino in su nella valutazione.”

Sei direttore tecnico dell’antico tiro a volo.

Sì, abbiamo iniziato con i miei soci questa avventura da circa un anno. Lo voglio menzionare, sono Stefano Tarallo, Lucio Luciani e Nicola Pomponi e insieme gestiamo due realtà. Una è il “Paolo Rosi” che sta vicino all’auditorium a Roma e l’altra è proprio l’Antico Tiro a Volo, che è stata una gran bella sfida. Ad oggi abbiamo raddoppiato il numero di giocatori che ogni giorno calcano i nostri campi e al momento è una scommessa in parte vinta.”

Motivi della separazione con Lesya Tsurenko?

In quel momento ero in pieno rapporto umano, tennistico e contrattuale con la mia giocatrice, non avevo né contatti né in mente di allenare altri giocatori. E’ stato un fulmine a ciel sereno, esattamente un anno fa, prima del torneo di Miami. Un giorno, torneo di Miami, dopo 10 giorni di allenamenti dove tutto andava bene, lei doveva scendere in campo contro la giapponese Misaki Doi quando mi dice che non sarebbe scesa in campo. Ci mettiamo seduti per parlare e mi bastano 3 parole per capire che il nostro rapporto non sarebbe andato avanti e ci siamo lasciati. Da parte mia almeno c’è un po’ di rammarico perché avevamo lavorato bene ed ero convinto che stavamo in una condizione molto buona, per affrontare un periodo dell’anno in cui mi aspettavo ottimi risultati. Lei stava giocando bene. A distanza di tempo ti dico che probabilmente è mancata la fiducia nel suo allenatore, non aveva più fiducia in me, altrimenti non si può spiegare. Siamo arrivati a ridosso della top 20, era numero 23 al mondo. Da Miami al Roland Garros sarebbero stati tutti punti che entravano e quindi poteva salire ancora e c’erano ancora molti tornei da fare. Secondo me entrava top 20. Però a volte le cose non anno come immaginiamo, e a distanza di un anno ho metabolizzato e ho rivisto tutto il film, i successi, gli errori, le pianificazioni. Quando sei all’interno di quel frullatore che è il circuito fatichi a renderti esattamente conto, freddamente, di quello che sta accadendo. Invece quando riavvolgi il nastro rivedi tutto con altri occhi, forse più disillusi, più distaccati e puoi capire maggiormente certi dettagli. Noi avevamo fatto quarti agli US Open e tutto il percorso non lo abbiamo potuto percepire come era realmente in quello stesso frangente. Le interviste, il vortice emotivo, mediatico, ti spostano il focus. In questo anno di circuito (2018/2019 NDR) sono arrivate così tante informazioni che ho avuto bisogno di metabolizzarle col tempo, e quindi dopo la fine del nostro rapporto, stando un lasso di tempo importante a casa.”

Per altro eravate, come hai detto, in un buon momento.

“Esatto, avevamo fatto finale a Brisbane, e anche agli Aus Open al primo turno Lesya aveva battuto una tennista come Ekaterina Alexandrova e io le avevo detto che aveva sconfitto una tennista fortissima, molto difficile da affrontare perchè tirava di un forte impressionante. La Alexandrova giocava veramente bene, quindi la vittoria aveva un peso specifico importante. Lei invece vedeva i suoi errori ed era meno positiva: noi in realtà cercavamo di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno nelle situazioni, perché questo è il mio carattere. Poi al secondo turno perde malamente con la Anisimova: Anisimova ingiocabile su superficie velocissima. Lesya si riprende a Indian Wells, aveva un bye al primo turno, poi vince una bella partita con l’americana Pegula. E anche in quella occasione le dissi che Pegula era una che si sarebbe affermata: Jessica Pegula ha un rovescio piatto fastidioso, probabilmente qualcosa all’interno della testa di Lesya era cominciato a succedere. Eppure dopo avevamo anche lavorato bene per una decina di giorni, però evidentemente per lei non era più come prima.”

Come sei entrato in contratto con Tsurenko?

“Con Potito avevamo una Accademia a Roma, e una sera mi ha chiamato il manager di Lesya, che è Corrado Tschabuschnig, il quale mi disse che Lesya aveva rotto col suo storico Coach. Mi chiese se riuscivo a farla allenare, visto che avevamo tanto ragazzi con punti ATP e anche molto forti. Io gli risposi che la conoscevo, anche perché l’ATP aveva invitato i migliori Coach a fare il PRO Course e in quella occasione c’era anche l’allenatore di Lesya stessa. Poi era venuta a fare uno spot pubblicitario a Roma nel nostro circolo, e ci avevo già giocato. E le proposi di seguirla al torneo di Roma. Lei veniva da un periodo nero, poi è nata subito empatia anche se a Roma perse subito con la Martic. Questo feeling continuò allenandoci insieme per un’altra settimana fino a quando Lesya mi chiese di seguirla definitivamente: presi un treno in corsa, e non era facile. Curammo i dettagli, c’era un feeling importante e questo, insieme al suo talento, portò Lesya ai quarti di finale al Roland Garros, risultato che non aveva mai raggiunto in uno Slam. Arrivare alla seconda settimana di uno Slam, ha un sapore particolare. L’altro giorno aprivo l’agenda e c’erano tutte le tattiche da usare contro le varie giocatrici incrociate, Wozniacki, Muguruza, davvero tutte; è stata una grande cavalcata con risultati anche dopo molto importanti, quarti a Cincinnati, quarti a US Open. Ho vissuto tante emozioni e avuto tantissime informazioni, poi interiorizzate e elaborate. L’altro giorno parlavo con il preparatore Fabio Buzzanca che mi diceva “non mi sarei mai reso conto di come impostare o cambiare certi dettagli se non fossi stato ai tornei, per quanto riguarda la pianificazione del fitness, l’alimentazione.”. E ha ragione, solo se stai lì puoi capire determinate cose. (Aggiungo io che lo stesso vale per scrivere di tennis, per raccontare un torneo e anche per studiare. Un conto è leggere sui libri, o fare i corsi, un altro è stare attaccato ad un tennista  e vederlo nella quotidianità, respirandone gli odori, comprendendo le dinamiche emotive anche extra-tennis e via discorrendo NDR).”

Entrando nel tecnico, come si prepara una partita.

“Penso a quante notti passate a rivedere le partite. Per prima cosa provo a guarda i match dove l’avversaria ha perso il match: per cercare di capire perché l’ha perso. Per seconda cosa provi a vedere se, quando e come, l’avversaria che andrai ad affrontare ha perso con una giocatrice simile a quella che stai allenando. Devi studiare un po’ tutto prima: colpo peggiore, colpo migliore, quando perde più campo, in quali momenti c’è stato un deficit fisico o attentivo durante la partita.”

Chi ti piacerebbe allenare?

“Girando il circuito mi sono reso conto che mi piace tantissimo la mentalità asiatica, vorrei tanto allenare delle giocatrici cinesi. E rimango dell’idea che nella parte Est dell’Europa c’è un bel movimento. Ci sono due ragazze cinesi, con il nome molto simile, Xiyu Wang (107 WTA, la mancina) e Xinyu Wang (140 WTA, la destra), entrambe giovanissime (18 e 19 anni NDR). Anni fa vidi per la prima volta ad un torneo LI NA, che poi è diventata la tennista che sappiamo e mi lasciai scappare frasi entusiastiche, anche se qualcuno ci scherzava sopra. E’ perché mi ero innamorato del suo modo di muovere la parte bassa, e poi la maggior parte delle asiatiche sono davvero soldatesse. La mancina delle due cinesi che ho nominato prima, è ancora più fastidiosa, perché varia maggiormente il gioco.”

Hai un sogno nel cassetto?

“C’è la voglia di rientrare nel circuito, ed è tanta. Sto studiando, non è facile con le 3 bambine in casa, ma la notte ritiro fuori le pianificazioni, immagino, mi aggiorno, cerco di capire dove ho fatto degli errori, e come posso migliorarmi. La voglia c’è, non ho fretta. Sono arrivate delle proposte ma vanno vagliate bene. Peccato si sia fermato il circuito, perché per me è vita vedere partite, studiare, approfondire le dinamiche. Pensa che prima vedevo solo il tennis maschile, poi da quando sono entrato nel circuito delle ragazze mi godo e analizzo anche quello femminile. Mi sono ritrovato a girare che conoscevo tutti i tennisti maschi, le loro tattiche, il loro modo di giocare ma non conoscevo le donne! Mi piacerebbe anche allenare un maschio, certo perché no, ma in questo momento il mio nome ruota maggiormente nell’orbita WTA per quel che ho fatto finora. Questo anno sabbatico e questo periodo di stop forzato per il coronavirus mi hanno aiutato a migliorare la mia capacità di pazientare, di accettare (e non subire NDR) che poi è quello che devono fare anche i tennisti in campo: non perdere quella intensità e concentrazione anche quando le cose non vanno come si vorrebbe, l’avversario sta giocando un gran tennis o magari tu non riesci a giocare il tuo di tennis.”

Tennista anni 2000 che più manca nel circuito femminile.

“Beh, ero folle di Mary Pierce ma ti sta rispondendo l’Adriano Albanesi giocatore. In quegli anni io ero concentrato come tennista, e tra quella del giocatore e quella del coach ci sono due visioni diverse. Sono due punti di vista non dico opposti, ma comunque molto differenti. Comunque Mary Pierce me la prendo tutta la vita perché era camaleontica, sapeva giocare su tutte le superfici e a quei tempi le superfici erano davvero diverse tra loro e non piuttosto omologate come ora.”

Momento esatto in cui hai sentito di poter rivestire i panni da coach.

“Ho smesso di giocare piano piano, non con un taglio netto. E in quel momento ho cominciato a studiare, a prendere le abilitazioni, i gradi da Istruttore, Maestro. C’è stato un momento, tuttavia, in cui io andavo ad allenare dei ragazzi nelle scuole agonistiche e mi sono reso conto che in tanti mi facevano domande, mi chiedevano pareri, insomma che potevo dare una mano. Dentro e fuori dal campo. E cominciavano ad arrivare anche i risultati: influivo positivamente nel tennis di questi ragazzi e ragazze. A quel punto mi sono detto: forse questo è il mio lavoro. Devo molto a mia moglie, lei mi ha stimolato, supportato e aiutato a riflettere e poi ho incontrato le persone giuste. Da circa 4 anni sento di aver preso una marcia in più, come sensazioni mie, come modo di approcciare, di studiare.”

Le 3 giovani del circuito femminile che si imporranno.

“Beh, Rybakina che è esplosa anche prima del dovuto. Ci sentiamo spesso col coach (Stefano Vukov NDR), con Fabio (Buzzanca, il preparatore NDR), ed era quasi inaspettata questa crescita esponenziale degli ultimi mesi per la kazaka. Voundrousova o Yastremska, in questo momento Andreescu si è fermata e deve ritrovare motivazioni. Poi Cori Gauff e molte altre. Rybakina ha fatto la pre-sesason da me, e abbiamo pianificato un lavoro impressionante, in cui lei all’inizio ha trovato difficoltà, ma dopo meno di una settimana ha trovato subito il modo di affrontare le situazioni. Ha grandi capacità di accettazione. Esce dalle sue linee-guida e ha un approccio mentale importante. Una cosa che mi ha colpito quando ha iniziato il percorso è che non aveva molta pazienza, cioè qualsiasi cosa la voleva fare bene e perfettamente. Magari alcuni esercizi per lei nuovi erano ostici, e pur volendoli fare bene non riusciva immediatamente: non si è buttata giù e pian piano, con quella capacità di accettazione e di sacrificio (anche mentale) migliorava.”

Alessandro Zijno