Patrick Mouratoglou: la filosofia vincente

Ciò che tutti noi vorremmo lui l’ha fatto: realizzare i suoi sogni da bambino
“Quando fai qualcosa sappi che avrai contro quelli che volevano fare la stessa cosa, quelli che volevano fare il contrario e la stragrande maggioranza di quelli che non volevano fare niente”.
Patrick Mouratoglou è attualmente il Coach di Serena Willams, in passato ha portato al successo decine di tennisti e tenniste, ha fondato una delle Academy più importanti al mondo ed è indiscutibilmente un uomo di successo. Eppure, per usare le sue stesse parole: “ero destinato ad essere un mediocre, ero malato ed ero indeciso e pauroso: ma ho lottato per cambiare, mi sono battuto perché nulla è fisso per sempre.” Proviamo a scoprire i suoi segreti, i suoi punti di forza e anche, perché no, le sue debolezze.
Le 7 regole di Patrick Mouratolgou per diventare un campione
1-Allenati come un professionista
Più Intensità, più costanza, più rigore
2-Pensa come un campione
Insegui l’eccellenza, rafforzati nella vittoria e nella sconfitta, credi nei tuoi sogni
3-Anticipa il gioco del futuro
Padroneggia il tennis di domani
4-Impadronisciti delle tattiche chiave
Analizza il gioco e imponi il tuo
5-Padroneggia la tecnica
Ricordando che la tecnica è al servizio della tattica
6-Diventa il miglior avversario possibile
Sii performante in gara come in allenamento sempre al tuo massimo
7-Costruisciti un corpo da atleta
Allenamento fisico personalizzato, alimentazione controllata, qualità ottimizzate


Patrick Mouratoglou nasce a Neuilly-sur-Seine l’8 giugno 1970, in una famiglia benestante: il papà, che dal nulla ha creato un impero con le energie rinnovabili, è ricco ma non materialista e sarà una figura fondamentale per la crescita del piccolo Patrick. Infatti il bambino non rappresenta quello che suo papà vorrebbe, non incarna la figura del figlio dell’ottimo uomo d’affari: Patrick non è brillante, è timido in maniera quasi patologica, è troppo magro e pallido, non va bene a scuola. E’ un ragazzino intelligente, di questo il padre si accorge, ma assiste alla sua stessa vita da spettatore. Alle scuole medie la situazione addirittura si aggrava e il futuro coach di Serena Williams ama ricordare un episodio che la racconta lunga: un giorno fuori dal cortile resta da solo, e due bulli lo avvicinano e approfittando della sua debolezza lo insultano e gli sputano in faccia. In cuor suo Patrick medita vendetta ma quelli sono gli anni peggiori della sua vita e cade in una spaventosa spirale depressiva. Si sente inutile, incapace, e suo padre non riesce ad aiutarlo. E’ sempre disponibile per un paio di ore di compiti, o per qualche consiglio, ma non sa insegnargli come si diventa un bravo studente e lo lascia solo ad affrontare problemi per lui irrisolvibili. Tutto ciò farà scattare inconsapevolmente una molla importante nel ragazzo, che proprio allora diventa coach, osservando gli altri, cercando di comprenderne le emozioni, le motivazioni a fare o non fare azioni, tutto ciò che poi ha messo in pratica nel tennis. C’è da dire che il tennis pur entrando nella sua vita a 4 anni con le prime lezioni, non era certo di primaria importanza per la famiglia Mouratoglou, più legata tradizionalmente agli studi accademici. Con suo fratello Patrick giocava solo per divertirsi e ricorda benissimo il senso di piacere nel constatare che all’interno del campo le insicurezze e le difficoltà sparivano come per magia: Patrick non era più forte degli altri, non era un campione, era il campo che sentiva magico e gli toglieva tutti quegli stati d’ansia che ne permeavano l’esistenza. In fondo credo che sia stato per tutti noi tennisti così, sentirsi così tanto a proprio agio in un rettangolo di gioco da farne la nostra professione.
“Sii te stesso, tutti gli altri sono già occupati” Oscar Wilde
Nonostante la famiglia borghese di Mouratoglou non assecondi le scelte di indirizzo sportivo del ragazzo, Patrick che intanto ha 15 anni continua ad allenarsi, 3 volte a settimana, con il sogno di fare qualche torneo internazionale. Non vedendo però risultati di rilievo il padre gli dà un ultimatum: basta col tennis, è ora di mettersi sotto con gli studi. Il ragazzo la prende così male da diventare ribelle e aggressivo: e qui c’è un’altra grande lezione di vita che riceve. Il mestiere del coach non consente giudizi e lui invece soffrì pesantemente il giudizio paterno. Tutto è relativo al contesto e l’unica domanda che è necessario farsi è : “il mio giocatore sta avendo un atteggiamento giusto per vincere o raggiungere i suoi obiettivi?”. Forse i genitori lo etichettarono come “pazzo”, forse lui stesso lo fece. Ma la lezione che imparò fu talmente grande che ancora oggi ricorda perfettamente quei momenti.
Per dieci lunghi anni Patrick non prenderà quasi più una racchetta in mano, se non per qualche torneo interclub qua e là, ed entra in analisi: confrontarsi con sè stesso è una prima grande vittoria che gli darà la consapevolezza di potercela fare emotivamente in ogni situazione. Patrick si diploma, prova a fare l’Università ma non riesce a seguire con puntualità il piano di studi, si sposa a 23 anni e il padre gli offre un posto di lavoro nella sua azienda senza trattamenti di favore. La sua vita sembra avviata verso una via molto classica: il lavoro va bene, il padre comincia ad avere più fiducia in lui, gli affida responsabilità maggiori, un buono stipendio e, separatosi dalla prima moglie, Patrick ricomincia anche a giocare a tennis. La passione non è mai sopita e prova anche a fare l’agonista, anche se solo per divertimento. Assume un coach per lui e grazie a quest’ultimo apre una piccolissima scuola destinata a chi vuole migliorare: la TETC, Team di Allenamento Tennis Competitivo, con 5 clienti trovati con un annuncio: sono tutti trentenni che vogliono migliorare ma che fanno un altro lavoro. Pensate, la più grande Academy del mondo nasce così, per puro caso senza mirare al denaro. Uno dei grandi segreti che Mouratoglou tuttora svela è proprio questo: nello sport o nella costruzione di qualsiasi impresa il denaro è importante ma viene sempre e soltanto dopo i sogni. Il piacere di fare qualcosa nulla a pretendere. Qualche mese dopo la miniaccademia ha circa 20 clienti, ma sono certamente troppo pochi per fare un margine di guadagno sicuro e quindi il francese di origini greche conserva anche l’attività nelle energie rinnovabili.


“Chi cammina sui passi di un altro non lascerà mai traccia” Proverbio indiano

Passano un paio di anni e ora qualche agonista di prospettiva si comincia ad affacciare nell’accademia di Mouratoglou, per Patrick arriva il momento di affrontare suo padre e chiedergli una mano. Sono passati ormai 11 anni da quando la famiglia ostacolò il suo progetto di diventare un tennista e il francese avrà una seconda lezione ancora più importante. Va da suo padre e gli chiede un finanziamento per migliorare la sua accademia, gli conferma che vorrà vivere di questo, cioè proprio del tennis. Va deciso, e badate bene non “Più deciso” ma “meglio deciso”: esattamente come ora insegna a vincere ai suoi allievi, quella volta Patrick spiegò, convinse, fece immaginare i frutti, coinvolse emotivamente suo padre che gli fornì gli strumenti economici necessari per poter costruire quella che sarebbe diventata poi una delle più importanti strutture tennistiche del pianeta. Se la prima volta, quando voleva fare il giocatore non si era sentito adeguatamente capito da genitori che invece lo amavano, ora era stato lui stesso a proporsi in maniera diversa.

“I vincenti trovano sempre una strada, i perdenti una scusa” JF Kennedy”
Nasce la Bob Brett Academy
Il gruppo di lavoro, il team TETC, è viva, guadagna qualcosina ma ancora non lo soddisfa appieno. Mouratoglou vuole avvicinarsi al tennis che conta, quello di altissimo livello, ma nessuno ha ancora sentito parlare di lui nel mondo e nemmeno in Francia, nessun tennista forte o di grandissima prospettiva può puntare su un allenatore sconosciuto senza pedigree. Così convince Bob Brett, l’australiano che portò Becker e Ivanisevic sulle vette delle classifiche mondiali, ad associare il suo nome alla Academy. In realtà razionalmente non c’era alcuna possibilità che Bob Brett accettasse, ma quando i due si incontrano Patrick è così tanto un fiume in piena di entusiasmo che l’australiano dà la sua disponibilità a questo progetto che dire strampalato è dire poco. Si danno appuntamento da lì a tre mesi per mettere in piedi la cosa, e in 90 giorni Patrick trova gli investimenti (papà) e il luogo dove realizzare la struttura: in Montreuil, in Seine-Saint-Denis c’è un club quasi abbandonato, è il posto giusto. Anche se poi la loro unione professionale è terminata male, Patrick e Bob hanno dato vita a qualcosa di magico: l’intuizione di Bob Brett fu importante, non diede retta a quelli che sostenevano la follia dell’impresa, mettendosi in gioco insieme ad uno sconosciuto del tennis, senza esperienza e titoli come Patrick. Riconobbe in Mouratoglou le stimmate giuste. Per 6 anni, in cui ogni giorno è meraviglioso, lavora instancabilmente a 360 gradi: Bob Brett sta in accademia solo una cinquantina di giorni l’anno ma sono sufficienti a “formare” Patrick, che ruba ogni informazione, ogni dettaglio dal grandissimo coach australiano. L’atmosfera da start-up che si crea è qualcosa di incredibile, una energia così forte che piano piano la struttura comincia ad ospitare tennisti di grande livello: Paul-Henri Mathieu, Marcos Baghdatis, Gilles Muller, Pauline Parmentier, Sergiy Stackhovsky, Ivo Karlovic, Mario Ancic, Mandy Minella, Dudi Sela, Hicham Arazi e molti altri.
La Formula Vincente
Bob Brett insiste perché Patrick sia in campo con lui, così da trasmettergli i dettami principali del suo metodo, che in realtà è molto semplice: lavoro personalizzato, e grande energia. Patrick Mouratoglou da direttore della Academy fa una scelta molto positiva, basata su un concetto fondamentale: il tennista deve sentire che tu scommetti su di lui, che condividi le sue prospettive e dividi con lui il rischio d’impresa. Così elabora una formula che soddisfa tutti: l’accademia finanzia la preparazione del giocatore, e lui in cambio dà una percentuale del prize money, fino al rimborso dell’importo per la sua formazione. Unico problema che si pone al giovane imprenditore coach è se il ragazzo non raggiunge i livelli più alti, l’investimento non si recupera: per ovviare a questo si associa a Laurent Rizzo che con Octagon aveva una delle più importanti società di rappresentanza degli atleti, riuscendo a riscuotere una percentuale sulle sponsorizzazioni. Grazie a Rizzo si avvicinano all’accademia la Bartoli, la Wozniacki e molti altri tennisti formidabili (come Del Potro o Wawrnika gli sfuggono perché ancora non possiede la credibilità delle grandi firme tra i coach).


Le difficoltà, le invidie, e la rinascita
Non è stato tutte rose e fiori il percorso di Mouratoglou verso l’Olimpo del tennis mondiale. Innanzitutto le grandi agenzie che avevano sotto contratto i giocatori temevano la concorrenza e scoraggiavano i loro assistiti di andare nell’accademia francese. Poi la stessa Federazione transalpina considerava Mouratoglou un guastafeste che osava mettere in dubbio la sua egemonia sul suolo nazionale, tanto da mandargli degli ispettori federali a dare fastidio. Tutto ciò mette Patrick un po’ sotto pressione, lui e Bob Brett non si risparmiano, ma cominciano le prime crepe. I rapporti tra Bob Brett, che rivendica maggiore potere, e Patrick si incrinano, i giocatori cominciano ad andarsene perché il clima che si respira non è più quello di prima, e siamo nel 2003; lo stesso Baghdatis che è il figlio spirituale di Patrick minaccia di andare da un’altra parte, urge trovare una soluzione. E l’unica è il distacco da Bob. Ora Mou è solo, e da solo deve ricominciare. Un altro nome e una nuova Academy. Gli restano solo Marcos Baghdatis e pochi altri, di minor livello. Così al “mentalist”, come intanto qualcuno chiama Patrick, non rimane altro che rinominare la sua accademia (e le darà il suo nome, Mouratoglou Tennis Academy) e ricominciare daccapo. Ha ancora motivazione, voglia, e si rimette a lavorare sul campo dove grazie ai consigli di Bob Brett è ormai una sicurezza, e fuori dal campo per reclutare il maggior numero di tennisti possibili. Legge nelle persone Patrick, e quando sente che qualcuno è disposto a tutto pur di emergere non lesina energie e investimenti: se sono giusti si svolta, se sono sbagliati pazienza, c’è sempre una nuova alba. Da lì in poi, siamo nel 2005, sarà un successo dopo l’altro, decine di ragazzi portati a giocare gli slam Juniores, più di venti entrano nella top 100 mondiale, poi la costruzione nel 2014 dell’immensa struttura a Sophia Antipolis e le vittorie con Serena e gli altri tennisti ottenute anche negli anni precedenti ne certificano la statura mondiale e il suo definitivo ingresso tra i top coach a livello planetario.


Alla domanda su chi sia un coach Patrick oggi risponde così: “ Il coach oggi nel 2019 è chi dirige il team intorno al giocatore. Ha una competenza su tutti i fronti ma non è uno specialista. Sa circondarsi degli uomini giusti per quel tipo di tennista, e orienta gli sforzi per determinati obiettivi. Sono i bisogni dei giocatori che vanno tenuti in conto. E naturalmente deve entrare davvero in forte sintonia col tennista, stabilendo un legame privilegiato nel quale l’atleta non si senta giudicato. Mentre l’allenatore (scelto dal coach) si concentra sugli strumenti tecnici e tattici, fornendo le armi giuste per scendere in campo, il coach (che solo in alcuni casi può essere anche l’unico allenatore) agisce sul piano motivazionale, lo porta a gestire bene le emozioni, fuori e dentro al rettangolo di gioco. Un team agisce sulla macchina (il preparatore fisico, il tecnico, il medico specialista), il coach gestisce tutto agendo sulla parte umana e facendo in modo che coloro che fanno parte del gruppo di lavoro tengano sempre a mente l’aspetto umano. La vittoria si nasconde nei dettagli, vale per un dilettante così come per un professionista di altissima performance. Gli ostacoli alla riuscita di un giocatore potenzialmente non si contano, sono davvero tanti: sono di ordine umano, relazionale, comportamentale, fisico, tecnico, tattico o medico. Il più delle volte si tratta di una sottile combinazione di tutti questi parametri, perché le trappole sono disseminate in ciascuno di questi campi.”
Il compito di un coach è trovare il modus operandi adatto ad ogni singolo tennista e mettergli a disposizione staff e struttura idonei. Il mestiere è complesso, fare il coach non è divulgare un sapere. E’ trovare soluzioni, inventare, creare, rimanendo sempre con i piedi per terra e sapendo che sono i risultati che contano. Il giocatore non si rivolge ad un coach per fare dei buoni allenamenti: se parliamo di tennisti professionisti o aspiranti tali, saprebbero già organizzarseli da soli per la maggior parte. I tennisti si rivolgono ad un coach per ottimizzare gli sforzi, perché il tempo è poco e si è in continua competizione con gli altri atleti, e per essere aiutato a progredire di livello. L’intelligenza di Mouratoglou, a mio parere, è stata anche quella di sapere di non essere il numero uno al mondo per quel che riguarda la tecnica o la biomeccanica del gesto e avere l’umiltà di cercare anche tecnici giovani, adeguati, magari non di nome, ma con la voglia giusta di trovare soluzioni tecniche per quelle tenniste o tennisti che non riuscivano a migliorare un determinato colpo. Ad esempio si parla di un giovane tecnico, di cui però non riesco a ricordare il nome, che migliorò Karlovic al servizio, e parliamo di uno dei migliori al mondo come efficacia in quel fondamentale.
Le statistiche
Uno dei segreti di Mou è il suo famoso quadernetto. Dove lui appunta tutto. Mi ha raccontato che questo quadernetto (che però non mi ha mostrato purtroppo) ce lo aveva dai primi giorni e ci sono ancora le statistiche dei quarantenni che facevano i tornei amatoriali paragonabili ai nostri open di quarta. Nel corso degli anni ovviamente si è modernizzato, ora gestisce un team di lavoro con i più importanti esperti del settore statistiche sportive, nell’accademia è tutto registrato in campo per fare videoanalisi, e i tennisti vengono anche monitorati sul piano fisico e delle reazioni metaboliche. Ovvio che nulla è lasciato al caso o sottovalutato.
Le collaborazioni di Mouratoglou
“la vittoria ha tantissimi padri, la sconfitta è orfana”

Sebastian Lavie: La prima collaborazione di cui vuole parlare Mou è quella con un tennista, Sebastian Lavie: il piccolo viene dalla Nuova Zelanda, ha solo 10 anni, e resta per lui un piccolo rimpianto, perché è arrivato in accademia nel 2004, e il coach francese era molto impegnato anche se gli ha dedicato de tempo. Lo ha allenato un paio di ore al giorno, poi lo ha lasciato nelle mani di un altro allenatore. Seb non ha raggiunto i risultati che il suo talento potevano fa sperare però è rimasto nella famiglia della Mouratoglu Academy come Coach. E’ stato lungamente il tecnico di Julia Glushko, portata in top 100.
Irena Pavlovic: A 9 anni arriva nella scuola di Mouratolgou, allenata dal papà Dragan. Ultraggressiva come gioco, sfavillante, a 15 anni si blocca e il papà rivela al coach francese che la conosce ormai da tempo che non riesce più a gestirla. Mou è un maestro nel capire i ragazzi e comprende che la ragazzina ha bisogno di risentire sensazioni positive. Deve restituirle il piacere di giocare e nonostante l’obiettivo finale sia quello di trovare consistenza nel gioco della francesina sparatutto, consente alla ragazza di colpire forte sempre e comunque. E’ questo che le restituisce il sorriso. Durante la raccolta delle palle continua a lavorare, sia sulle motivazioni, sia sulla costruzione di una empatia, interessandosi alla storia di Irena che viene dalla Serbia martoriata dalla guerra dei Balcani. Alla fine di ogni allenamento le manda un messaggio e si complimenta per le cose che è riuscita a fare. Irena ha subito troppe critiche e rimproveri, è stata sotterrata dalla pressione. Ha sviluppato abitudini negative e bisogna cancellarle. Illuminante è un aneddoto che Mou racconta e che svela una tecnica di cui mi parlò anche Zdenek Zeman in un torneo a Vigna Stelluti a Roma: per farle trovare sicurezza e fiducia le fa fare match test con tennisti di basso livello. Magari dandogli delle difficoltà da risolvere, tipo almeno due serve and volley in ciascuno dei suoi turni di servizio, ma fornendole così la fiducia necessaria per alzare il livello. Anche qui la sconfinata ambizione di Mouratoglou la fa da padrone e quando i risultati finalmente arrivano il coach francese decide di legarsi a suo figlio spirituale Marcos Baghdatis Più tardi riprenderà la collaborazione con Irena, e Mou racconta un altro aneddoto interessante: la Pavlovic veniva da un momento delicato, non vinceva molto quando prima di un torneo incontra la neozelandese Marina Erakovic, vista da lei come inarrivabile. Mouratoglou fa una premonizione secondo la quale Irena avrebbe superato le qualificazioni di quel torneo e l’avrebbe affrontata e battuta al primo turno. Così accadde. Irena telefona al padre il quale…non ci crede! Pensate, suo papà Dragan aveva costruito una tennista formidabile ma aveva anche allo stesso tempo imbottito la ragazza di insicurezze e paure, minandone la fiducia in se stessa.


Marcos Baghdatis
“Il verbo amare è uno dei più difficili da coniugare. Il suo passato non è semplice, il suo presente non è indicativo, il suo futuro non è che un condizionale.”
Amore, poi profonda delusione e infine separazione, hanno segnato nel corso del tempo il rapporto tra due grandi uomini come Marcos e Patrick. Nel 2000 al Petit As, il più importante torneo giovanile U14, il coach francese scopre questo giovane talento di Cipro, accompagnato dal padre Christos che gli confida che a Cipro, Paese da cui provengono, non c’è alcuna possibilità di realizzare il loro sogno di entrare nell’elite mondiale del tennis. Non ci sono infrastrutture, non ci sono coach, non hanno mezzi finanziari né ci sono concorrenti nell’isola. Mou ci crede fermamente nel ragazzo, e gli trova un alloggio presso una famiglia, i Benhaim, che lo accoglie come un figlio. Tutti i giorni passa a prenderlo e lo porta in accademia: i lunghi tragitti in macchina portano alla costruzione di una intimità e di una stima reciproca che hanno condotto alla conquista della finale agli Aus Open e alla posizione numero 8 del mondo. Eppure, racconta Mouratoglou, di difficoltà per arrivare a questi livelli ne hanno dovute affrontare molte. In particolare è curioso che una delle problematiche di Marcos fosse ad un certo punto una pseudodepressione dovuta inizialmente alla rottura con la sua fidanzata storica. Siamo nel 2005 e Marcos spegne le sue velleità, giorno dopo giorno. Si porta dietro una disperazione endemica, dovuta soprattutto alla sua ipersensibilità. La vicenda della sua ragazza è solo la goccia che fa traboccare il vaso. Non si allena bene Baghdatis, e Coach Mouratoglou compie, per sua stessa ammissione, un paio di errori importanti: “non sono stato all’altezza della situazione, troppo coinvolto emotivamente in prima persona, per via dell’effetto che nutro per Marcos. Lo giudico, qualcosa che un coach non dovrebbe fare mai. Marcos è un professionista, ha tocca la top 50 ATP, sta realizzando quello che io ho sempre sognato e per cui avrei dato tutto ciò che avevo e non lo sta apprezzando. Per me è inaccettabile. E cado nella trappola del giudizio. Oltretutto non viaggio con lui, perché ho i bimbi ancora molto piccoli e non voglio separarmi da loro. Sono errori che non ripeterò in futuro, una bella lezione.”. Comunque le critiche funzionano nell’immediato, e permettono a Marcos di riprendersi, lavorare come un forsennato e di giungere in finale l’anno successivo a Melbourne. Qualcosa si è rotto però tra i due, e Patrick chiede a Guillaume Peyre, che già lo conosce, di accompagnarlo nei tornei. Marcos e Patrick tengono i rapporti, si sentono e quello che prova Baghdatis è un misto tra amore e insofferenza verso il suo coach storico. Il giorno dopo la grandissima finale contro Federer, pur persa in quattro set, il cipriota si svela al mondo, e racconta delle sue giornate in Accademia e finalmente per Mouratoglou è l’uscita dall’anonimato. Da quel 2006 la sua fama lo precederà prima del suo arrivo in qualunque posto. Baghdatis poi decide di lasciare l’accademia, da quel momento non tornerà più su quei livelli, rilascerà in futuro dichiarazioni che svelano il suo amore verso Patrick ma anche la sua delusione e disillusione per il tipo di rapporto che è andato deteriorandosi nel tempo. Mouratoglou dichiarerà che non vedeva più il fuoco in Marcos.
Anastasia Pavljuchenkova
Anche con Nastia, il soprannome della tennista russa, Coach Mouratoglou dà una dimostrazione di cosa significhi impattare pesantemente sui progressi di un giocatore. La Palvjuchenkova era la numero uno al mondo da Junior, e quando si presentò all’accademia di Mou insieme al padre e al fratello era in un momento molto difficile. Da mesi non riusciva più a giocare ai suoi livelli, veniva da un fallimento dopo l’altro nei tornei, e le aspettative erano molto alte. Il coach francese osservava in accademia gli allenamenti della russa, ne notava i dettagli psicologici, e il tipo di rapporto che la legava alla famiglia. Nelle pause per il pranzo gli sguardi erano abbassati, non c’era rilassatezza ma tensione e anche durante il training le cose non andavano meglio. Un giorno il papà di Nastia gli confidò che non riusciva più sostenere quella situazione e gli chiese un intervento. Mouratoglou elaborò un piano in 2 mosse: 1- l’aspetto psicologico: come in molti casi accade Nastia non riusciva più ad essere sè stessa in campo. Lei che colpiva la palla così bene, con un timing pazzesco, ora aveva il punto d’impatto sempre in arretramento, era poco precisa, sostanzialmente sembrava un’altra tennista. Ma certo il problema non poteva essere tecnico visto che fino a pochi mesi prima era una furia. La realtà è che le sedute con suo padre e suo fratello erano vissute tutte in un contest di stress e di aggressività. Il padre le urla dietro in russo, lei lancia la racchetta e certo così i peggioramenti nel gioco sono inevitabili. Mou le parla e l’ascolta rincuorandola mentre lei si flagella da sola dicendosi di non valere niente mentalmente. Questo le ridà un po’ di fiducia e le consente di sopportare lo stress che nel frattempo gli chiede il suo nuovo Coach. Uno delle regole base di Mou è proprio questa: stress utile e proporzionato per poter migliorare e aumentare i carichi di allenamento, e fiducia per poterlo sopportare mentalmente. 2- l’aspetto atletico. Nastia non muove benissimo le gambe, è lenta sul campo per gli standard che la WTA richiede, lo sa lei stessa, lo sa la sua famiglia, lo sa Mou e soprattutto lo sanno le sue avversarie. Per sorprenderle si tratta di passare ad un livello superiore riguardo la parte atletica, e per fare questo occorre aumentare l’intensità del training e bisogna crederci. Nastia ci crede e grazie a queste implementazioni diventa più veloce e più convinta dei suoi spostamenti. Ma Mou sa bene che le caratteristiche di Nastia non sono quelle di una giocatrice esclusivamente difensiva, anzi al contrario deve avere lei il pallino del gioco in mano ed essere aggressiva fin dal primo colpo. E anche lì compie il miracolo di impattare sulla mente di Nastia che abbandona le paure e ricomincia a tirare. Diventa top 30. E qui c’è un altro blocco che è tipico di tantissimi atleti, dalla quarta categoria ai top player: una fase di “appagamento”. I fuoriclasse non si accontentano. Mai. Quando Mou propose un periodo di allenamento piuttosto impegnativo a Nastia per cercare di attaccare le miglior al mondo e puntare al primo post mondiale, lei, che pure aveva perso peso, si era ammazzata di allenamenti fino a quel momento, rispose picche. Desiderava semplicemente godersi quello che stava vivendo: ora i soldi arrivavano, la fama, il rispetto delle altre atlete, la soddisfazione dei genitori, era cioè nella sua zona di comfort. Per migliorare bisognava uscirne ancora. Capitò a lei quello che era capitato anche a Marcos Baghdatis.

Aravane Rezai
“Uccidi i tuoi nemici con le tue vittorie, sotterrali con il tuo sorriso” Ziad K. Abdelnoor
Anche Aravane è il frutto di un lavoro paterno estenuante ma che ha portato ad una tecnica notevole. Mouratoglou ospita in accademia la famiglia Rezai, con il papà Arsalan che è il terrore di tutti coloro che frequentano il mondo del tennis. Il coach francese aspetterà che sia lo stesso Arsalan a chiedergli di allenare direttamente sua figlia, la quale accetta con piacere, è motivata, di umore buono, il tipo di ragazza che sa cogliere il lato positivo. Patrick si integra bene con la famiglia di Aravane, impara qualche parola della loro lingua, condivide con loro i pasti apprezzando la cucina iraniana e pian piano entra nelle grazie di tutti i componenti del clan. A quel punto, dopo circa 7 mesi di lavoro insieme e con la Rezai in salita nel ranking Mouratoglou racconta che la prese in disparte un giorno e le fissò alcune regole rigidissime da seguire: vita da professionista con orari scanditi al minuto, una dieta ferrea con mezzo chilo da perdere ogni settimana, training duro anche durante le competizioni, tattica da seguire ciecamente durante i match, cellulare concesso solo in determinate ore col permesso del coach, match delle avversarie da seguire rigorosamente per carpirne i segreti. Aravane e Patrick continuano così per diversi mesi fino a quando la Rezai diventa la numero 15 al mondo e poi pian piano finisce anche lei per accontentarsi: come Nastia e Marcos, Aravane si gode i suoi risultati, la fama, la gloria, il denaro. E finisce la sua corsa.


Serena Williams
In realtà Serena rappresenta per il coach francese una sorta di punto di partenza e punto di arrivo allo stesso tempo: Con Serena, che aveva già vinto 13 prove dello Slam quando ha cominciato a lavorare con Patrick, in realtà è scoppiata la Mouratogloumania a livello mondiale di massa: qui si è consacrato il coach francese che ha influito pesantemente a livello motivazionale con la ragazza, ormai donna trentenne, afroamericana. Ma sotto al sedere, pur complicata da guidare, aveva ed ha ancora una Ferrari, anche se ormai un po’ datata e bisognosa di qualche tagliando. E’ per questo che nonostante sia la più importante tennista con la quale Mouratoglou ha lavorato, quella con più titoli, quella con più carisma, in assoluto la più forte, non è la migliore testimonianza del grande impatto che il coach francese può avere con i suoi allievi.
“Anche se vi vedono camminare sull’acqua, gli invidiosi diranno che è perché non sapete nuotare” Anonimo
Alessandro Zijno